Dopo questo disco i Black Crowes sforneranno altre ottime opere (si ricordano soprattutto il caldo e quasi psichedelico “Amorica” e l’incredibile “Live At The Geek”, dal vivo e con Jimmy Page alla chitarra: nessuno meglio di loro poteva reinterpretare i classici dei Led Zeppelin alle soglie del Duemila), eppure la qualità di “The Southern Harmony And Musical Companion” rimarrà ineguagliata. Era dai tempi dei grandi classici di Allman Brothers Band e Lynyrd Skynyrd che non usciva un album di southern rock di tale livello. Rispetto a “Shake Your Money Maker” si riducono i tratti presi in prestito da Rolling Stones e rock britannico anni Sessanta, in compenso aumentano le soluzioni più propriamente sudiste: blues e soul zampillano incontrollabili, il country impastato di boogie e gospel si fa garante di ballad superbe come “Hotel Illness” e “Thorn In My Pride”, l’hard rock di stampo Seventies fuoriesce impetuoso dai riff e dagli assoli di “Sting Me” e “Remedy”, i cori femminili terribilmente soulful e gli accordi flessuosi delle tastiere donano un tocco ancor più classico al cd. L’impeto del canto di Chris Robinson e della sei corde del fratello Rich in “Sometimes Salvation” trasporta i Led Zeppelin sotto il cielo della Georgia, “Bad Luck Blue Eyes Goodbye” è un lento dal climax emotivo magistrale, persino la cover di Bob Marley “Time Will Tell” si rivela perfetta per chiudere in gloria uno fra i capitoli imperdibili del rock degli anni Novanta.
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