C’è stato anche qualche pazzo che ha affibbiato ai Phish di Trey Anastasio (voce e chitarra) l’etichetta di meri revivalisti psycho – progressivi. Certo i dischi della band dello stato del Vermont riutilizzano con nonchalance materiali vecchi di 20, 30 e persino 40 anni; eppure la fantasia compositiva del quartetto riesce nell’impresa di rivitalizzare soluzioni compositive che in mano altrui sembrerebbero mortalmente stantie. Invece l’acume di una scrittura che cita e rielabora indifferentemente Frank Zappa e i grandi dell’acid rock californiano degli anni Sessanta, i mostri sacri del prog rock dei Settanta e una consistente fetta dello scibile jazzistico, dal be bop alla fusion, riesce nell’impresa di rendere interessanti e quasi innovativi brani che provengono da molto lontano. “A Picture Of Nectar” è forse l’opera più riuscita di una discografia corposa e che nel corso dei Nineties riconcilierà molti ragazzi con la musica dei loro genitori; infine, è sicuramente uno dei più grandi dischi progressive del decennio. Entusiasmante.
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