Opeth – Ghost Reveries

Il disco della maturità? Probabilmente sì, se con essa s’intende l’abilità nel far convergere i vari aspetti di uno stile ormai sfaccettato e multiforme in un insieme unitario. “Ghost Reveries” è un episodio centrale per la carriera degli Opeth, nonché il penultimo a potersi considerare metal a tutti gli effetti. Solo pochi anni prima la band svedese aveva scisso le sue anime in due dischi radicalmente differenti: il violento ed elettrico “Deliverance” (2002) e il semi – acustico e settantiano “Damnation” (2003). Ora i due approcci sono perfettamente amalgamati nella stessa opera, che dispensa un sound particolarissimo, sempre più ammiccante al progressive rock ma nondimeno ancora pregno di fughe verso il metal estremo. Eppure, che Åkerfeldt e compagni spingano verso qualcosa di diverso è chiarito da un brano come “The Baying Of The Hounds”; non fosse per il growl utilizzato per le parti vocali, il suo incipit potrebbe benissimo esser stato scritto dai Deep Purple. E, in generale, la massiccia presenza di Hammond, Mellotron, Moog e il continuo trascolorare da riff metallici a oasi di calma malinconica nel resto del lavoro sono tutti indizi di un cambio di rotta che si rivelerà in tutta la sua portata con “Heritage” (2011).

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