Nella seconda metà degli anni Zero il revival del post – punk inizia a mostrare la corda. Se gli Interpol si occupavano di rivitalizzare la memoria dei Joy Division, ottenendo un grande successo, ecco allora arrivare a distanza di pochi anni gli Editors, che con l’esordio “The Back Room” realizzavano una “copia della copia”. Vendite ed hype alle stelle, ma pure uno sgradevole senso di plurimo dejà vu difficile da cacciar via. Per fortuna il seguito della band britannica era d’altra pasta: in “An End Has A Start” rimane l’amore per Ian Curtis e compagni, però il quartetto di Stafford dimostra di saperci fare pure con materiale temporalmente più vicino e, soprattutto, maggiormente eterogeneo. Arcade Fire, Radiohead, Coldplay e un pizzico di U2 rendono le 10 tracce dell’album più intriganti e policrome. “An End Has A Start” svela degli Editors più profondi, anche se sempre torvi, con frizzi drammatici e risonanti, con chitarre stratificate che si aprono su landscape celestiali in gorghi vorticosi. Insomma un disco più solido, che nonostante le radici dark viene propulso da un nocciolo estremamente melodico e pop.
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