La nuova rivelazione dell’indie rock si chiama Jake Bugg, giovanissimo (classe 1994) songwriter inglese di quel di Nottingham, che già con l’esordio omonimo (2012) aveva creato scompiglio fra addetti ai lavori e hipster vari. Per “Shangri La” vola addirittura in California per farsi produrre il disco da un manipolatore di suoni del calibro di Rick Rubin. Quel che ne esce è una conferma del talento del Nostro, che armeggia con folk bucolico e velato di malinconica, episodi più diretti e rock, liquidità tastieristiche e, nel complesso, un po’ tutto il bric a brac del perfetto cantore indie di questi anni Dieci. Ci si perde un po’ fra sonorità prese di peso dagli ultimi gruppi britannici (vedi Arctic Monkeys) e sfumature di cantautorato a Stelle e Strisce del passato, direzione West Coast anni di grazia 1967 – ’71. C’è la voce, c’è la bravura di scrittura, manca ancora un po’ di personalità. Ovvio che Jake abbia un’eternità per migliorare, noi aspettiamo un lustro per vedere se il suo destino sarà quello dei grandi oppure la luce delle comete.
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