Avenged Sevenfold, la discografia (più o meno) ragionata

Pare che il prossimo 27 ottobre sarà un giorno che i fan degli Avenged Sevenfold ricorderanno a lungo. Se da un lato l’attesa per il live a 360° e in VR è altissima, dall’altro sono in molti a dare per scontato che a questo fantomatico, imperdibile appuntamento possa solo seguire l’annuncio del nuovo album. Se non addirittura l’esecuzione live per intero dei nuovi pezzi. E dall’altro lato ancora, fonti molto vicine alla band hanno dichiarato che “Voltaic Oceans” (sarà poi davvero questo il titolo del disco?) vedrà la luce il prossimo dicembre. In ogni caso, ottobre o dicembre che sia, l’uscita della settima fatica della formazione californiana è tanto imminente quanto attesa, essendo gli Avenged Sevenfold in cima alla catena alimentare della musica metal contemporanea. Per cui, soprattutto alla luce di “The Stage”, il singolo pubblicato lo scorso 13 ottobre che ha mischiato in modo del tutto inaspettato le carte in tavola in casa A7X, un’occhiata alla discografia completa dei Nostri ci pare d’obbligo.

Sounding the Seventh Trumpet (2001)
Ascoltato 15 anni dopo non sembra neanche un disco degli Avenged Sevenfold. In primis, l’idolo delle folle Synyster Gates si fa sentire solo per una misera comparsata in “To End the Rapture” nella re-release dell’album, e in effetti “Sounding the Seventh Trumpet” difetta di quegli assoli riconoscibili tra mille a cui il tenebroso chitarrista ci ha abituati negli anni a venire (non me ne voglia Zacky Vengeance, ma con Synyster Gates è davvero tutta un’altra storia). Punto due: la cantilena nasale tipica di M. Shadows è nettamente ridotta rispetto alle produzioni successive, prediligendo lo screaming che fotterà le corde vocali del vocalist, ma che porterà i Nostri al successo globale. E per finire, sembra un album hardcore punk. Ecco perché i puristi lo ricorderanno come uno dei dischi più viscerali e spontanei, anche se acerbo, della formazione. Ma prendete “Shattered by Broken Dreams”: ascoltatela bene, memorizzatene il sound e fatene tesoro perché ci tornerà utile tra qualche riga.

Waking the Fallen (2003)
Dopo una serie di scossoni in line-up, gli Avenged si assestano sulla formazione “classica”, quella del successo e degli eccessi. E di conseguenza, la chimica nel nuovo disco è delle migliori. Ma siamo in piena fase di transizione. Certo, i toni si stemperano rispetto all’esordio, e la formula a base di melodie killer, che citavo sopra con “Shattered by Broken Dreams”, inizia a diventare preponderante. Le corse folli e l’energia muscolare rimangono a reggere la struttura di molti pezzi (tipo “Second Heartbeat”) dando il contentino agli aficionados della prima ora, che da questo momento inizieranno a storcere il naso, mentre molti altri seguaci saliranno a bordo del bolide A7X. “Unholy Confessions” diventerà una colonna portante dei live a venire.

City of Evil (2005)
Il disco della consacrazione. Dopo aver abbondantemente tastato il terreno con gli album precedenti, in “City of Evil” gli Avenged Sevenfold riescono a sublimare le radici metalcore degli esordi con una spruzzata di influenze hard & heavy classiche. M. Shadows abbandona del tutto lo screaming degli esordi, troppo inadeguato per il nuovo sound. Il tutto condito da un’immagine forte e spregiudicata (come testimonia il video di “Bat Country”, solo per citarne uno) che conquista il cuore delle ragazzine alternative di tutto il mondo. Quasi quanto la ballad “Seize the Day”.

Avenged Sevenfold (2007)
Sarà un caso, ma la cover di “Avenged Sevenfold” è quella di “Waking the Fallen” in negativo. Con l’omonimo album infatti, gli A7X cambiano registro definitivamente, aprendosi alla sperimentazione (prendete quel gioiellino della durata di otto minuti di “A Little Piece of Heaven”) e come sempre, quando si cambia rotta, si prendono le bastonate dei fan, soprattutto di quelli dei tempi di “Sounding the Seventh Trumpet”. E in effetti degli esordi c’è davvero poco o nulla. Synyster Gates e soci sono riusciti a radicarsi a forza di spallate da moshpit nella cultura pop tanto da essere una delle band più utilizzate per le colonne sonore di videogame di successo. Sembra tutto troppo bello, e infatti ci pensa la morte del batterista The Rev a riportare tutti con i piedi per terra, nel modo più crudele e cruento che esista.

Nightmare (2010)
Ma spesso, le grandi tragedie possono essere fonte di ispirazione. Se poi ci mettiamo alle pelli Mike Portnoy non può che venire fuori un mezzo capolavoro. Gli Avenged Sevenfold le hanno viste tutte, e anche se doloranti e ammaccati, ne sono usciti nel migliore dei modi. Le influenze dell’heavy classico si fanno sempre più insistenti (vedi “Buried Alive”) così come i pezzi al limite del pop (“So Far Away”).

Hail to the King (2013)
La prima volta che ho ascoltato “Hail to the King” pensavo di essermi bevuta il cervello o che gli A7X avessero inciso un disco di cover di Guns N’ Roses e Metallica. Sono passati tre anni e la sensazione che mi provoca questo album è sempre quella. Anche se a tratti si rasenta il plagio (soprattutto in “Doing Time” e This Means War”) i Nostri hanno fatto la mossa della vita, che piaccia o meno: abbracciare l’hard & heavy tout court una volta per tutte, aprendosi a un bacino di utenza infinitamente più ampio rispetto a quello (già enorme) del passato. Sono lontanissimi i tempi di “Sounding the Seventh Trumpet”, ma anche quelli di “City of Evil”. L’ultimo cambio di pelle degli Avenged Sevenfold è anche il più radicale. Durerà?

Chiara Borloni

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