Dieci anni fa usciva The Blackening, il disco che segnò la (seconda) rinascita artistica dei Machine Head e che li riportò al vertice delle preferenze di molti metallari dell’epoca. Il gruppo di Rob Flynn è da sempre stato considerato parte dei migliori esponenti della corrente groove metal, un genere nel quale a dire il vero i MH venivano considerati veri e propri copioni di quanto già fatto dai Pantera anni prima.
Lasciando da parte discussioni da bar fra persone troppo cresciute e con troppo alcol nelle vene, possiamo azzardare un breve vademecum fatto di 20 pezzi, partendo da band come White Zombie, Prong ed Exhorder (oltre ai già citati Pantera ovviamente e anche a certi Sepultura) che parecchio tempo fa (diciamo fine anni ottanta/ soprattutto inizio novanta) iniziarono a rallentare i ritmi propriamente thrash e stilemi death, inserendoci riff belli spessi e pesi. Per il resto non si canta certo in pulito (tranne rare eccezioni) e la batteria sfascia tutto ciò che trova sulla propria strada.
Nel tempo, il groove metal è stato raramente utilizzato per inquadrare band che, tuttavia, si sono cimentate eccome nel comporre pezzoni groove di tutto rispetto (lo hanno fatto pure gli Slayer, qui presenti con una sorta di bonus track presa dal loro bellissimo disco di cover punk/hardcore) pur non appartenendo a questo sottogenere. Anche nell’era moderna diversi act hanno percorso questa strada, finendo nel filone metalcore a livello di catalogazione.