Sembra ieri quando guardavamo a Stadium Arcadium come l’espressione più moderna e definita dei Red Hot Chili Peppers. Sono, invece, passati 12 anni da quello che è classificabile come uno dei migliori album del nuovo millennio. Era il 2006, i Red Hot Chili Peppers venivano da due dischi che, con il ritorno di John Frusciante, avevano fatto dimenticare quanto di mediocre fatto con “One Hot Minute” e Dave Navarro: stiamo parlando di “Californication” e “By The Way”. Difficile far meglio, lo si diceva anche dopo “Californication”, ma “By The Way”, nonostante non sia a quei livelli, si è difeso bene, regalando hit come “Can’t Stop”, “The Zephyr Song” e la stessa title track, ma anche tracce più complesse come “Don’t Forget Me”, “I Could Die For You”, “Tear” e “Venice Queen”. Un album davvero completo, ne avremmo potute citare tante altre.
Eppure, oggi siamo qui a celebrare il lavoro più corposo dei Red Hot Chili Peppers, basti guardare il numero di tracce: Stadium Arcadium. Un’opera mastodontica, fatta di 28 brani, prodotta ancora una volta da quello che potremmo definire il vero deus ex machina della band: Rick Rubin. Quella che, inizialmente, era stata pensata come una trilogia si trasforma in un doppio album, composto da “Mars” e “Jupiter”.
Mars si apre con “Dani California”, il ritorno della Dani di “Californication” e “By The Way”, la personificazione di tutte le donne di Kiedis; un brano di culto che, insieme allo storico videoclip, diverrà uno dei più celebri dei RHCP. Ancora la cocaina, Anthony Kiedis scrive “Snow (Hey Oh)”, un brano dove torna a parlare di dipendenza, fortunatamente ormai lasciata alle spalle; il successo del pezzo è a due facce, perché più lontano dall’universo dei Red Hot, ma che attrae quella parte di pubblico che li ha sempre e solo definiti dei caciaroni: c’è l’alternative, c’è il pop rock, ma anche qualche suono più grezzo, tipicamente funk. Ecco, proprio qui sta la particolarità di “Stadium Arcadium”, rappresenta il momento più alto di ogni componente della band, nonostante Flea possa apparire un tantino più imbrigliato del solito (pur regalando pattern che ne evidenziano, come se ce ne fosse stato ancora bisogno, il genio artistico, ndr), per via di un ispiratissimo John Frusciante che, in quest’occasione, darà il meglio di sé. Il disco è stato registrato nello stesso studio di “Blood Sugar Sex Magik”, l’album della rinascita e primo vero capolavoro di Kiedis e Co., The Mansion, conosciuta anche come “La casa dei fantasmi”; sarà lo stesso John Frusciante a raccontare del clima che aleggiava in quello studio:
“There were certainly some higher beings that controlled everything I did. I do not know how to talk about it or explain…But one thing was for sure, the music came from somewhere else, except me”. “C’erano chiaramente delle presenze sovrannaturali a controllarmi. Non so come spiegarlo…ma una cosa è certa, la musica è venuta fuori da qualche altra parte, non da me”.
Per quanto il discorso possa risultare fantascientifico, è curioso che l’album più vario e completo dei Red Hot Chili Peppers abbia preso vita in un ambiente così suggestivo. Senza scadere in un track by track, “Stadium Arcadium” vanta una varietà di sound che è difficile riscontrare in altri album, di qualsiasi band; è pur vero che i RHCP sulle variazioni di genere ci hanno costruito una carriera: la loro capacità di mutare e di mischiare generi totalmente differenti li rendono una band polivalente. È proprio questo voler abbracciare diversi generi che rende il pubblico dei Red Hot Chili Peppers molto vario, gli amanti del funk, incontrano quelli dell’alternative rock, fino ai meno etichettabili, che troveranno di certo, in un repertorio vastissimo, brani adatti ai propri gusti: basti pensare al flow di Kiedis, che – nonostante i problemi di memoria che lo affliggono e la sua innata capacità di modificare i testi con parole senza senso durante i live -, spesso e volentieri trova spazio anche per il rap (vedi “Even You Brutus” in I’m With You o “Punk Rock Classic” di Mother’s Milk).
Cos’è allora Stadium Arcadium? Stadium Arcadium è un punto di partenza, dal quale è possibile entrare in contatto con il mondo di questi scalmanati musicisti californiani, un lavoro imprescindibile per coglierne l’essenza mutevole e per tuffarsi nei lavori precedenti, ma anche un punto d’incontro per coloro che li hanno amati in momenti differenti. È l’ultimo album dov’è possibile ascoltarli tutti insieme, nella loro miglior formazione, l’ultimo album con la chitarra e i cori di John Frusciante che, negli anni, aveva cominciato a sviluppare una repulsione nei confronti del successo che lui stesso, forse più degli altri, aveva contribuito a raggiungere.
Felice Ragona