Correva l’anno 1969. Uno degli anni più importanti della storia recente dell’umanità (e anche del pop-rock, dato che molti i critici sostengono che il triennio ’69 /’70 /’71 sia stato il periodo chiave per lo sviluppo della musica contemporanea). E tra gli eventi da ricordare di quei dodici mesi irripetibili, non possiamo non contare la pubblicazione di “Tommy“, l’iconica opera rock degli Who, avvenuta esattamente il 23 maggio di quell’anno. Per la storica band britannica infatti non è scorretto parlare di vero e proprio evento storico più che di “semplice” uscita discografica, dato l’immenso lascito che Townshend e soci ci hanno regalato con la loro incredibile carriera.
Facendo un doveroso passo indietro, gli Who, dopo aver sondato il “power pop” degli esordi (“I Can’t Explain”, 1964), passando per la cultura mod (che tornerà in voga nel 1973 grazie a “Quadrophenia”), senza dimenticare le influenze rock ‘n’ roll e proto-punk (“My Generation”, 1965), danno prova del raggiungimento della propria maturità tecnica e compositiva con “Tommy”, che rappresenta appunto il loro lavoro più sfaccettato e complesso.
Anche se non sono stati i primissimi, perché pur se non con gli stessi risultati, i Kinks avevano dato alle stampe un’opera rock, gli Who riescono ad accaparrarsi per “Tommy” il titolo ufficiale di prima rock opera della storia grazie a uno spessore che prima di allora nessuno aveva mai neanche sfiorato, grazie soprattutto al lavoro straordinario di un Townshend particolarmente ispirato. “Il protagonista”, secondo le dichiarazioni del chitarrista e principale compositore del disco, “doveva essere sordo, muto e cieco perché, in questo modo, osservato dal nostro già limitato punto di vista, le sue limitazioni sarebbero state un simbolo delle nostre stesse limitazioni”.
L’unico senso ancora funzionante di Tommy è il tatto, simboleggiando una metafora dell’evasione dalla realtà attraverso l’arte, un percorso di formazione che porterà il giovane alla consapevolezza di sé in seguito al superamento di episodi tanto crudeli quanto bizzarri di cui sono protagonisti soggetti alquanto particolari (lo zio e i suoi abusi, oppure l’affascinante ma pericolosa Acid Queen). Nella stesura di “Tommy” gioca inoltre un ruolo fondamentale la dottrina fondata sulla compassione, l’amore e l’introspezione del maestro spirituale indiano Meher Baba, da cui Townshend era rimasto colpito e affascinato. “Tommy” quindi presenta diversi strati di narrazione, i principali dei quali sono l’aspetto musicale, quello delle canzoni alla base del rock, e il concept sulla vita del giovane protagonista.
Passiamo ai pezzi che compongono il capolavoro degli Who. I Nostri rifiutano qualsivoglia orchestrazione, cedendo solo al corno francese suonato da John Entwistle nell’overture e alle discrete tastiere di Townshend, perché il rock, ancora più che il ragazzo cieco, sordo e muto, è il vero protagonista di “Tommy”. Tra gli episodi immortali del doppio LP non possiamo non citare “Pinball Wizard”, “Acid Queen” e “I’m Free”, fulgidi rappresentanti dei progressi tecnico-compositivi raggiunti dalla formazione in soli quattro anni dal debutto.
Anche il cantato di Roger Daltrey, vero e proprio prototipo del vocalist rock anni ’70, sia da un punto di vista vocale che estetico, fa passi da gigante rispetto alle precedenti pubblicazioni. Grazie all’uscita di “Tommy”, alle esibizioni durante lo stesso anno al festival di Woodstock e dell’Isola di Wight, gli Who raggiungeranno lo status di idoli assoluti del rock, una caratteristica che pochissimi altri possono permettersi di vantare se non forse i Led Zeppelin, giusto per citare un esempio noto a tutti e indiscutibile.
“Tommy” è stato un incredibile successo sia di critica che di pubblico, piazzandosi immediatamente dopo la sua uscita al secondo posto nella classifica inglese e al quarto negli Stati Uniti. Impossibile non citare il film del 1975 diretto da Ken Russell, un adattamento molto fedele delle vicissitudini di Tommy in chiave psichedelica, magistralmente interpretato da star della musica e del cinema mondiali quali Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, Arthur Brown e Jack Nicholson. Nonostante la carriera degli Who sia stata segnata da un paio di tragedie (la morte di Keith Moon e di John Entwistle, rispettivamente nel 1978 e nel 2002), da scioglimenti, reunion, e sia stata intervallata dai percorsi solisti di Roger Daltrey e Pete Townshend, i Nostri sono attivi ancora oggi, e anzi vivono uno stato di grazia live davvero invidiabile. L’ultimo album di inediti (“Endless Wire”) risale al 2006, ma la grandezza dello storico combo britannico continua a vivere non solo sui palchi di tutti il mondo, ma anche nella loro immensa discografia, vero e proprio patrimonio dell’umanità, non solo musicale.