Nick Cave And The Bad Seeds – Murder Ballads

Probabilmente “Murder Ballads” rimane il disco ideale per approcciarsi a Nick Cave. I suoi primi lavori con i Bad Seeds rimangono insuperabili in quanto a instabilità emotiva e furia corrosiva, mentre gli ultimi oscillano fra l’ottimo e il mediocre esercizio di stile. In questa gran massa di materiale, l’album delle “ballate assassine” spicca per una capacità persuasiva affatto originale: affiancando traditional ben conosciuti nella tradizione folk anglosassone e composizioni proprie, Cave prepara quello che sembrerebbe un intruglio venefico e, dati i temi trattati, realmente ‘estremo’. Eppure, a differenza del passato, qui gli aspetti più oscuri dello spirito umano vengono trattati con un certo distacco, analizzati con cinismo e sviscerati persino con un tocco di humour (nero, ovviamente). Ecco il motivo della scelta di repertorio: “Murder Ballads” è molto meno lancinante e autobiografico rispetto a quanto l’artista aveva abituato il suo pubblico sino ad allora: il risultato, anche a livello strettamente musicale, è un lavoro più sfaccettato e ricco di momenti accessibili a tutti. C’è il rock urticante di “Stagger Lee” e il delirio di “O’Malley’s Bar”, in cui s’incontrano blues, Kurt Weill e Tom Waits; ma ci sono anche delicatissime ballate per pianoforte e archi quali “Henry Lee” (in duetto con PJ Harvey) e “Where The Wild Roses Grow” (in duetto con Kylie Minogue!), in cui Nick si clona macabro crooner di amori e delitti. Il ventaglio espressivo è davvero imponente, e a suo modo la pubblicazione risulta quasi ‘easy listening’: non a caso, “Murder Ballads” è tuttora il long playing più venduto della formazione.

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