Insieme a Paradise Lost ed Anathema, i My Dying Bride completano il triangolo che fu al vertice della scena doom/death gotica inglese degli anni Novanta. Il loro lavoro stilisticamente più rappresentativo rimane “The Angel And The Dark River” (1995), quello più coraggioso “34.788%…Complete” (1998), imbevuto di malsana psichedelia virata electro. I Nostri, però, decidono di ritornare sui propri passi, e dopo un LP interlocutorio come “The Light At The End Of The World” (1999), mettono a segno quello che, con molta probabilità, resta il disco più riuscito della carriera. “The Dreadful Hours” non guadagnerà mai una reputazione paragonabile a quella dei primi album, tuttavia le sette nuove composizioni qui contenute sono la summa ideale delle pulsioni funerarie di Aaron Sainthorpe e compagni: l’alternanza fra voce pulita e growl, il passare dal lentissimo abbraccio letale del doom più ossianico e rarefatto (cfr. l’uso delle tastiere) a violente cadenze di matrice death, i testi romanticamente decadenti sono tutte qualità che in “The Dreadful Hours” emergono con abbagliante chiarezza. La traccia conclusiva, “Return To The Beautiful”, è il nuovo arrangiamento del quasi omonimo brano presente nell’album di debutto, “As The Flower Whiters” (1992), ulteriore indizio utile per carpire l’intima natura della band.
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