“Illinois” è il secondo (“Michigan” è del 2003) disco dedicato a ognuno dei 50 Stati dell’Unione. Per ora è anche l’ultimo, dal momento che successivamente Sufjan Stevens si è dedicato a tutt’altro, cambiando persino approccio stilistico con l’elettronico e poco convincente “The Age Of Adz”. È abbastanza prevedibile che il Nostro non porterà mai a termine la trasposizione in note di ogni stella della bandiera statunitense, ma il solo concepire un’impresa del genere ci rende l’idea di un artista bizzarro, ambizioso e, nel nostro caso, fra i più dotati dell’indie pop contemporaneo. Al di là, quindi, delle ultime claudicanti divagazioni sintetiche e dei buffi costumi di scena, è giusto celebrare la bravura del musicista di Detroit ricordandolo con questo album. In cui Stevens padroneggia la materia con mestiere da artista scafato, e gioca con tutti i cliché del pop americano: tra easy listening alla Bacharach e colonne sonore di film per famiglie anni Cinquanta, con curatissimi arrangiamenti e melodie deliziose, “Illinois” elenca pop di classe, che spazia dai coretti pubblicitari di “Come On Feel The Illinoise” all’atmosfera zuccherosa di “Chicago”, dal country folk di “Casimir Pulaski Day” all’intimismo di “The Predatory Wasp Of The Pali”, dalla lounge di “They Are Night Zombies” al sottofondo di “The Seers Tower”, il tutto inframmezzato da interludi cinematografici che fanno sembrare il lavoro una colonna sonora di quelle di una volta, curate con abilità artistica e perizia artigiana. Da avere assolutamente, se si vuole intendere il pop ‘altro’ dei nostri tempi.
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