The Clash, 40 anni dal debutto e qualche altro pezzo di storia punk

Il primo, omonimo, album targato The Clash compie 40 anni. E con lui spegne quaranta candeline un po’ tutto il genere punk, più volte dato per spacciato dagli integralisti ma sempre capace di tornare a galla.
41 anni fa per Londra si aggirava un tale di nome Woody: si fa chiamare così in onore di Woody Guthrie, che con la sua chitarra cantava di lavoratori e ribellione nella stessa America di “Furore” di John Steinbeck. Woody ha una band, si chiamano The 101’ers. Un giorno assiste a un concerto folgorante: sul palco ci sono i Sex Pistols. Solo qualche mese dopo Woody sarà in tour insieme a loro, ma ai tempi dell’Anarchy Tour il nome “Woody” sarà solo un ricordo, così come gli 101’ers: il 1977 è l’anno di Joe Strummer, e dei Clash. 

L’8 aprile 1977 esce “The Clash”: in copertina i tre musicisti, in fase di ricerca di un nuovo batterista al momento dello scatto. L’album, pietra miliare del punk, contiene tutto quello che rappresentano i Clash di quel periodo: una voce fuori dal coro, un grido frustrato, che non fa mai uso di perifrasi ma arriva dritta al punto. “I neri hanno un sacco di problemi” cantano nella memorabile “White Riot”, ricordando una recente protesta nella quale si sono trovati coinvolti “ma non hanno paura di lanciare un mattone. I bianchi vanno a scuola, dove ti insegnano a essere ottuso“.
Non c’è spazio per il politicamente corretto nei brani dei Clash: la vita nei sobborghi è raccontata come è vissuta, in modo semplice. Un manifesto del “parla come mangi”.

Tra i brani si distingue “Police & Thieves”, che risalta subito per i ritmi in levare e per il ruolo predominante del basso: è solo l’incipit di una lunga lettera d’amore dei Clash al reggae, una relazione che si evolverà negli anni e sarà portata avanti da tanti artisti successivi.

Nel frattempo nei locali di Londra nascono il pogo e il “gobbing”, la simpatica pratica di sputare verso i musicisti (che valse a Strummer la mononucleosi, tempo dopo). Oltre ai Clash continua a spopolare l’altro lato della medaglia punk: i Sex Pistols, che a ottobre ’77 pubblicano “Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols”, cambiando per sempre la storia del rock.

Mentre i Clash avevano una filosofia più propositiva (benché spesso raffazzonata e discutibile), i Sex Pistols incarnano invece il cinismo, la disillusione e il nichilismo: è emblematico come una della frasi per cui è ricordato Joe Strummer sia “Il futuro non è scritto“, mentre “God Save The Queen” lanciò il “No Future” (coerentemente la storia della band si concluse poco dopo, con un solo (vero) LP alle spalle). I primi volevano abbattere il sistema a sassate, ai secondi non interessava molto più che sputarci sopra.

Ascoltandolo oggi può risultare difficile capire quanto il punk fosse un genere oltraggioso e di rottura: è necessario uno sforzo empatico non indifferente per immergersi nel mondo dell’Inghilterra di quattro decenni fa, dove i bravi ragazzi non avevano vestiti strappati, non si drogavano e soprattutto non paragonavano il regno della più alta istituzione, Sua Maestà la Regina, a un regime fascista. 

Un terzo polo è offerto da The Damned. Il primo, quasi omonimo, album esce a febbraio ’77 (filologicamente fu il primo disco di punk inglese): “Damned, Damned, Damned” ha tutta l’energia degli illustri sopracitati colleghi, con suoni grezzi e diretti, ma la band è meno coinvolta in battaglie sociali e ideologiche. Il gruppo si colloca in quel filone più scanzonato e ironico che in America era incarnato dai Ramones.

Nati a New York con un pelo di anticipo, nel 1975, Johnny Thunder & The Heartbreakers per avere un contratto discografico si trovano costretti ad attraversare “the pond”, lo stagno, e a sbarcare in Inghilterra, dove vanno in tour con Clash, Pistols e Damned. Nella band ci sono due ex New York Dolls, il cantante e chitarrista Johnny Thunders e il batterista Jerry Nolan, oltre al bassista Richard Hell (noto per band storiche quali Television e The Voidoids, ma che non inciderà il primo album).

L’inno della band è quantomai autobiografico: “Born To Lose”, nati per perdere. Interessante è anche il titolo del primo album: “L.A.M.F.“, ovvero “Like a Mother Fucker”, “come un figlio di puttana”: nuovamente, siamo temprati da anni di punk, rock e rap, ma qualche decennio fa l’impatto era ben maggiore.

Stanco di dover scendere a compromessi con altri membri delle sue varie band, a un certo punto Richard Hell decide di mettersi in proprio: “Blank Generation“, il primo album firmato Richard Hell & The Voidoids esce quasi contemporaneamente a “L.A.M.F.”, e vede la rabbia e il nichilismo incanalati in testi quasi poetici (ma sempre alla maniera punk).

Anche a livello estetico, Hell è fondamentale per la “moda” punk: furono i suoi strappi negli abiti e le sue catene a ispirare a Malcolm McLaren il look dei Pistols.

Alessandro Mela