Era il 20 aprile 1992: venticinque anni esatti sono trascorsi da quel lunedì in cui il Wembley Stadium prese vita per il “Freddie Mercury Tribute Concert”, in onore del frontman dei Queen stroncato dall’AIDS il precedente 24 novembre. Dopo il live del “Magic Tour” nell’86, la band britannica giunse nuovamente tra le mura dello stadio londinese, accompagnata da numerosi artisti internazionali, tra cui Metallica, David Bowie, Guns N’ Roses, George Michael, Elton John, Robert Plant.
Oggi lo stadio di Wembley, come lo si conosceva in quegli anni, non c’è più: la modernissima struttura eretta nel 2007 ha preso il posto di ciò che fu teatro di avvincenti manifestazioni sportive ed eventi musicali passati alla storia. Il ricordo di quel concerto strepitoso, tuttavia, permane indelebile nelle menti fortunate di 72.000 presenti, e in un miliardo circa di telespettatori che assistettero dalle proprie case in tutto il mondo.
Per chi non sia cresciuto ascoltando questi artisti forse non sarà ben chiaro cosa significasse vedere Elton John e Axl Rose cantare “Bohemian Rhapsody” abbracciati, assistere agli assoli di Slash fianco a fianco con Brian May in “Tie Your Mother Down”, oppure vedere James Hetfield cantare “Stone Cold Crazy”, per una volta senza chitarra tra le mani, e affidando il compito niente meno che a Tony Iommi.
Chi lo ha assaporato sorride affettuosamente osservando alcuni di quegli artisti cambiati dagli anni: Brian May sempre carico di ricci, ora tutti grigi, Hetfield ha accorciato la chioma un tempo bionda e ostenta un pizzetto argenteo. Chi all’epoca li ha visti e vissuti lascia spazio a qualche lacrima al pensiero che, oltre a Mercury, anche Bowie e Michael non ci siano più, ma è un istante, perché poi ci s’immerge nuovamente nelle sensazioni regalate da “I Want It All” e da “Innuendo”, ci si emoziona nella performance del Duca Bianco con Annie Lennox in “Under Pressure”.
La monumentalità dei Queen, il talento canoro e il genio musicale di Freddie Mercury sono indiscussi e persistono nel tempo. Lui, leader carismatico e istrionico, teneva la scena come pochi altri al mondo; giocava insieme al pubblico a suon di vocalizzi, correva su e giù per il palco con energia inesauribile. Lui, che ha duettato alla grande con Montserrat Caballé; un uomo e un artista che anche dopo la sua dipartita ha ricevuto il calore intenso di ammiratori, la stima e l’affetto di colleghi e amici.
Venticinque anni sono una vita, un lasso di tempo lunghissimo, durante il quale la musica è proseguita inesorabile come il tempo, mutando, assumendo nuove forme, sia nella sua esecuzione che nella sua spettacolarizzazione. Venticinque anni; eppure se ora metti su un brano dei Queen ti sembra scritto ieri. Se fai andare il DVD del live ti sembra registrato l’altra settimana. Perché la musica fa anche questo, se ne infischia del tempo: esso le può imbiancare i capelli, ma la sua essenza rimane inalterata, immortale, come le leggende.
Matteo Manferdini