Il terzo lavoro dei Green Day compie proprio quest’anno (è stato pubblicato infatti il primo febbraio 1994) la bellezza di 25 anni. Ma per comprendere la grandezza di un album che oltre a segnare la vita a molti, ha scosso anche le fondamenta del music business, occorre fare un passo indietro.
Il successo globale del punk rock di seconda generazione, quello degli anni ’90 per intenderci, è stato qualcosa di unico ed epocale, un movimento che preparerà il terreno per il pop punk, trasformandolo in un vero e proprio fenomeno generazionale per milioni di giovani fino ai primi Duemila. E proprio i Green Day sono stati tra i massimi esponenti della rinascita di un genere che sul finire degli anni ’70 era molto diverso rispetto all’esplosione nel mainstream (episodio che avrebbe fatto rabbrividire i fan oltranzisti delle origini del punk duro e puro), avvenuto appunto nel 1994 grazie all’uscita nei negozi di “Dookie” appunto e “Smash” degli Offspring.
Il successo di “Dookie” si inserisce nell’immediatezza della fine dell’epoca d’oro del grunge (nel 1994 infatti Kurt Cobain si toglie la vita), e il nuovo punk rock è perfetto per le case discografiche, con uno stile apparentemente opposto a quello del grunge, ma pregno di un disagio sociale e (post-)adolescenziale molto radicato sotto la patina di ritornelli catchy e spensieratezza. Insieme a Offspring, Bad Religion e Rancid, i Green Day si fanno portavoce di questo nuovo sound e del relativo stile di vita.
Nati nel 1986 per volere del frontman Billie Joe Armstrong e del bassista Michael Ryan Pritchard (ovvero Mike Dirnt), e con l’arrivo in formazione nel 1990 di Frank Edwin Wright III aka Tré Cool, i Green Day, che dapprima si chiamavano Sweet Children, ma decidono in un secondo momento di omaggiare il loro amore per la cannabis, si fanno notare per le loro esibizioni presso il 924 Gilman Street, il locale di culto della scena di Berkeley dell’epoca, oltre che il trampolino di lancio per molte band punk rock californiane.
“Dookie”, il debutto di Armstrong e soci con una major, è stato prodotto da Rob Cavallo, che aveva notato i Nostri dopo il successo nel circuito underground locale di “Kerplunk” (1991). Pur attirandosi per questo primo accostamento al mainstream le ire dei fan della prima ora, il terzo full-length dei Green Day rappresenta l’inizio di una carriera più che fortunata, arrivando a vendere dieci milioni di copie solo negli Stati Uniti. Con i suoi venti milioni venduti globalmente è ad oggi il maggior successo commerciale dei Green Day, complice l’incredibile risonanza che molti network musicali (in particolar modo MTV, che all’epoca trasmetteva ancora e quasi esclusivamente videoclip) hanno dato alle hit estratte dal disco, in particolar modo “Basket Case”.
A proposito di singoli, i cinque pezzi estratti da “Dookie”, “Basket Case” appunto, ma anche “Longview”, “When I Come Around”, “Welcome to Paradise” (già presente nel precedente “Kerplunk”) e “She”, rappresentano gli esempi più significativi della proposta di allora della formazione di Berkeley, un qualcosa che ha dato il via a una serie infinita di cloni, più o meno dotati e di successo.
Oltre ai pezzi orecchiabili e alle melodie semplici ma di grande impatto, “Dookie” ha contagiato milioni di persone anche grazie alla sua capacità di dipingere situazioni in cui molti giovani dell’epoca (e non solo) erano perfettamente in grado di rispecchiarsi. Tra noia, abuso di droghe, ricerca della propria identità sessuale, “Dookie” è la fotografia molto realistica di una generazione alla ricerca del proprio posto nel mondo, sfida tutt’altro che facile, soprattutto quando ci si trova intrappolati ai margini di una società di cui non ci si sente neanche parte.
Il successo di “Dookie” si riflette anche nei live esplosivi dell’epoca. Giusto per fare un paio di esempi, il concerto dei Green Day presso l’Hatch Memorial Shell di Boston si è concluso prima del tempo con 100 feriti e 45 arresti, e l’esibizione della band durante Woodstock ’94, è culminata in una battaglia di fango con il pubblico e con il placcaggio di Dirnt, scambiato da un addetto alla security per uno spettatore un po’ troppo agitato in procinto di invadere il palco.
Ma le fortune dei Green Day non si sono esaurite ai tempi di “Dookie”, anzi. Possiamo tranquillamente affermare che il terzo album della band è stato solo l’inizio di una delle carriere più fortunate nel rock più commerciale, tra vendite da record, premi e live sold-out. Inoltre, nel 1995 i Nostri vincono un Grammy Award nella categoria Best Alternative Music Album, e l’anno successivo, grazie alla pubblicazione di “Imsoniac”, continuano a essere ancora sulla bocca di tutti, pur senza replicare l’incredibile successo di “Dookie”.
Come da buona tradizione in ogni bella avventura che valga la pena di essere raccontata, i Nostri vivono un periodo poco ispirato e fortunato, fino alla rinascita nel 2004 con “American Idiot”, un disco che ha contribuito a rendere i Green Day, se possibile, ancora più grandi di quanto non fossero negli anni ’90.
Ma questa è un’altra storia.