Il 4 marzo, anniversario della nascita di Lucio Dalla, è un giorno speciale per tutti gli amanti della musica e dell’arte in generale ed è inevitabilmente legato all’artista bolognese che proprio con la canzone 4/3/1943 raggiunse, nell’edizione del 1971 di Sanremo, il suo primo successo nazional-popolare.
Se non fosse stato per quella maledetta mattina del primo marzo di cinque anni fa, oggi saremmo qui a festeggiare il suo settantaquattresimo compleanno, ma questo non ci toglie la possibilità di celebrare il Lucio Dalla uomo e artista a trecentosessanta gradi attraverso le parole e i ricordi di uno dei suoi più cari amici.
Roberto Serra non è stato solo il fotografo di Lucio Dalla per più di vent’anni, ma è stato anche uno dei pochi a fare parte di quella ristretta cerchia di persone dalla quale l’artista non si è mai allontanato. Ecco il suo ricordo.
Conobbi Lucio in un momento difficile: aveva da poco perso la mamma, scoppiavano le bombe nelle piazze e sui treni, poi ci fu il marzo del ’77 con i carri armati di Kossiga all’Università, e lui incominciò a scrivere il disco che si sarebbe chiamato “Come è Profondo il Mare”.
La sua qualità musicale era già indiscutibile allora quando, come diceva il suo manager Tobia, “… con Roversi vinciamo tutti i premi della critica ma non vendiamo un disco!” e Lucio non se ne dava pace, si tormentava, leggeva moltissimo, soprattutto italiani, Pasolini, Calvino, Pavese, Levi… e attaccò il morbo anche a me, ascoltava moltissimi dischi da Ray Charles a Miles Davis, da Mingus a Monk, da Paul Simon a Billy Joel, Jony Mitchell e Elton John, questi proprio a ripetizione, e poi anche gli altri, tutti.
La musica che preferiva, però, gli arrivava dal cinema, un ammirazione immensa per Ennio Morricone e Nino Rota e Piero Umiliani. La canzone, una che a dirla parrebbe la più improbabile, che aveva eletta a suo mito fra i miti, leggero ma pur sempre mito, “Over the Rainbow” cantata da Judy Garland ne “il Mago di Oz”, glielo sentii dire durante una intervista e gli occhi gli brillavano mentre lo diceva, il sogno e la leggerezza della favola non si erano dissolti.
E non credo fosse un caso che il suo produttore Renzo Cremonini, avesse lavorato con Michelangelo Antonioni e conoscesse bene Federico Fellini, Vittorio De Sica, come anche Monicelli, Rosi e Scola.
“Come è Profondo il Mare”, non saprei davvero come dirlo meglio, fu un enorme successo, non un botto, ma più come una marea che sale e sembra non avere limite, tanto che il settimanale L’Espresso, nel 79, gli dedicò la copertina con il titolo “Ma che ci trovano in quel Dalla” e lui guardandola, certo anche compiaciuto, disse “Ecco, adesso devo sparire“, ribaltando completamente i miei pensieri, insegnandomi un senso della misura che si univa alla strategia comunicativa.
Finalmente la gente ascoltava non solo i concerti ma anche i dischi e questo era il successo, certo economico, ma per lui soprattutto contava il riuscire ad essere davvero ascoltato per sentirsi libero e forte da poter ampliare la sua musica e i testi da proporre
C’è una considerazione che Lucio faceva con semplicità, a chi gli chiedesse cosa significasse essere famoso lui rispondeva “… avere un pezzo di me negli altri…” Per lui era così, era semplice, una cosa che scrisse anche in una sua canzone, “… ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale…”, e pensare che “Disperato Erotico Stomp” viene considerata solo una canzonetta… insomma spiazzamento continuo, ecco, questo è Lucio.
Un’idea di ritmo da fare impallidire gli dei, una voce potente e espressiva ovunque volesse andare, melodia e armonia cresciute nella frequentazione di ogni genere di musica, di ogni tipo di autore, anarchicamente senza gerarchie e, soprattutto, senza pregiudizi. Ma poi la voglia di non fare nulla opposta alla assoluta rigorosità nello stare in sala di incisione, un rigore con cui inventava e smentiva regole nella continua ricerca del racconto musicale. Arrivando ad inventare la “sprecisione” chiedendo ai musicisti di essere non imprecisi ma, in qualche preciso momento, volutamente “sprecisi”, là dove l’errore musicale non è più errore ma elemento.
Lucio, insomma, a volerlo contenere tutto intero, magari tutto in una volta, non ci si riesce. Questo ci dicevamo Gianfranco Baldazzi e io considerando la sua prolungata assenza… e dire che per noi che ci siamo cresciuti insieme, sebbene in epoche diverse, avrebbe dovuto essere più facile.
Quello che vorrei davvero raccontare, quello che penso si debba sapere di un uomo chiamato Lucio Dalla, non è l’immaginetta del giullare buffonesco cui amici dell’ora del successo o propugnatori postumi, per incapacità e comodità, vorrebbero ridurlo. E’ il musicista imprevedibile e esigente, l’intellettuale profondo e curioso, l’uomo intelligente e ironico che si mescolava agli altri riuscendo ad amarli pure conoscendoli per averli osservati da sempre, sapendo, con intima onestà, di essere come loro, l’artista ammalato di una disperata solitudine che, sapendola essere la sua più fedele compagna e la condizione primaria del suo lavoro, l’ha accettata combattendola fino a morirne.
Unica cosa bella, nella sua assenza, è che ognuno ha trovato una propria chiave della sua opera e questo, perdonatemi, ma succede solo agli artisti.
“… poi un giorno un mistico,forse un aviatore, inventò la commozione, che mise d’accordo tutti, i belli con i brutti, con qualche danno per i brutti che si videro consegnare un pezzo di specchio così da potersi guardare, com’è profondo il mare…”
Foto di copertina a cura di: Mathias Marchioni, foto dell’articolo di proprietà di Roberto Serra.
Ringraziamo Roberto per il ricordo dedicato a Lucio.