Il 1966 è un anno cruciale per il rock, escono dischi fondamentali per l’evoluzione del genere. Con Blonde on Blonde, Bob Dylan completa la sua “trilogia dell’elettrificazione” iniziata con Bring It All Back Home e proseguita con Highway 61 Revisited , scontentando i puristi ma aprendo nuove strade alla canzone d’autore. I Beatles pubblicano Revolver, album epocale che marca una decisa virata verso la maturità del loro suono, grazie all’ingegno di George Martin. Da A Hard Day’s Night a Tomorrow Never Knows (ascoltato oggi per la prima volta, sembra un pezzo della Madchester anni ’90) sono passati solo due anni, ma sembrano trenta. Se si pensa che solo in questo stesso anno i Rolling Stones se ne escono per la prima volta con un disco composto interamente di canzoni a firma Jagger-Richards, Aftermath, ecco ribadita la distanza compositiva tra le due band inglesi dominanti nel periodo.
I Beach Boys pubblicano il loro capolavoro assoluto, Pet Sounds, praticamente un disco solista di Brian Wilson, dalle architetture sonore raffinatissime, con armonie vocali straordinarie. Non sarà un gran successo, ma è l’album che ha ispirato ai Beatles Sgt Pepper’s, per dirne una. “Credo che nessuno sia musicalmente istruito finché non ha ascoltato questo disco”, disse una volta Paul McCartney.
Esce anche Freak Out, album d’esordio di un certo Frank Zappa, che è doppio come quello di Dylan e con il quale il rock esplode in mille direzioni diverse: doo woop e sonorità ionizzate alla Varése, rock and roll d’antan ed esperimenti elettronici, jazz e funk. E molto altro ancora. Una pietra miliare, che segna l’inizio della lunga carriera di un genio assoluto. Si affacciano sulla scena anche, con Takes Off, i Jefferson Airplane che diventeranno gli alfieri dell’acid rock, innervato da robuste dosi di sostanze psicotropiche. Come loro i 13th Floor Elevators di Rocky Erickson (che dal 1969 al 1972 finirà in manicomio per aver dichiarato di venire da Marte) iniettano la psichedelia nel rock and roll, dilatano tempi e spazi, costruiscono paesaggi sonori.
Pubblicano il loro primo disco, omonimo, pure i Buffalo Springfield, quintetto folk rock nelle cui file militano un tale Neil Young e un tale Stephen Stills. E’una band seminale, come i Byrds (che nell’anno definiscono il concetto di raga-rock con Fifth Dimension), per tutto il rock americano a venire, ma inciderà solo un altro lavoro prima di sciogliersi per conflitti musicali e non tra i componenti, lasciando un’eredità enorme.
Debutto anche per gli psichedelici Love di Arthur Lee (amico ed estimatore di Hendrix) che pubblicano ben due album, Love, con una versione di Hey Joe precedente di poco il successo di Jimi. e Da Capo, che contiene un brano di oltre diciotto minuti, Revelation. La tossicodipendenza di Lee frenerà non poco la vita del gruppo, ma nonostante questo il cantante e chitarrista è morto solo nel 2006 di leucemia.
Basterebbero questi dischi a fare del 1966 un anno incredibile, ma citiamo anche in ordine sparso altre perle dell’anno: Bluesbreakers with Eric Clapton che ormai è diventato una stella e nello stesso anno pubblica Fresh Cream, il primo album con i Cream. Parsley, Sage, Rosemary and Thyme, terzo album di Simon e Garfunkel (con Scarborough Fair e Homeward Bound), The Wicked Pickett di Wilson Pickett, asso del r&b (con Mustang Sally e Knock on Wood), Hold on I’m Comin’ di Sam& Dave, per rimanere nel filone “black&soul”, e infine Tim Buckley che fa conoscere al mondo uno straordinario cantante e autore.
Celebrate l’anniversario degnamente, comprandone almeno uno. Possibilmente in vinile.
Paolo Redaelli