L’unica cosa che vale davvero rimpiangere dal passato, musicalmente parlando, è la mancanza attuale di dischi che facciano inorridire i genitori. Ma del tipo che mamma spalanca la porta urlando, ti rompe il disco e ti sbatte fuori casa. I genitori di oggi possono essere perlopiù scocciati da una lagna di Fedez o infastiditi da una sbraitata degli Slipknot.
Ma nel 1992, signori miei, che schiaffi.
E non parliamo del sottobosco, tipo il black metal norvegese che grazie tante, ma di fior di classifica ed heavy rotation in tv. Grandi emozioni, grandi album, gran disagio per mamma e papà. Nello stesso anno “Incesticide” dei Nirvana, “Dirt” degli Alice In Chains, l’incredibile debutto dei Rage Against The Machine, “Core” degli Stone Temple Pilots. E poi i Nine Inch Nails che scoprono le chitarre e portano il torture porn su MTv, i Faith No More che con “Angel Dust” sbloccano il potenziale di Mike Patton, il rap che si fa prepotentemente avanti (soprattutto grazie a Dr. Dre e ai Beastie Boys), pure Aphex Twin che riscrive l’elettronica. La gente ‘normale’ intanto si gode i REM di “Automatic for the People”, Tori Amos, Peter Gabriel e The Cure…e perde la mascella con “Erotica” di Madonna.
C’è da pensare che in tutto questo ben di Dio il caro vecchio heavy metal fosse schiacciato e surclassato (soprattutto dal parente scomodo grunge). E invece se la passava gran bene. Giusto l’anno prima i Metallica del “Black Album” si erano dati una ripulita e raggiunto la vetta delle classifiche (e pure Ozzy). Nel ’92 toccherà ai Megadeth di “Countdown to Extincion” portare il metallo in più case possibili. E come dimenticare l’amatissimo “Images And Words” dei Dream Theater, il live della rinascita degli AC/DC, “Fear Of The Dark” degli Iron Maiden, l’ottimo “Revenge” dei Kiss. Dai cazzo andavano pure i Gwar e i Ministry di “Psalm 69”. Ma chi erano i veri animali, gli scappati di casa, quelli della potenza, dell’incazzatura, della distruzione, quelli insomma che alzarono il livello del caro e caciarone Heavy Metal?
I Pantera.
I quattro texani scalmanati avevano vissuto gli ’80 nelle retrovie, divertendosi un sacco ma raccogliendo poco, fino a fare il botto nel 1990 con “Cowboys From Hell”. Un sound fresco, graffiante e travolgente, grandi pezzi e tantissimo tiro. Questi pazzi ubriachi caciaroni risaltavano nel metal come i Red Hot Chili Peppers nel funk. Il primo album di successo li mise sotto i riflettori come ancora di salvezza del metallo, portandogli lo slot d’apertura dello storico concerto in Russia di Metallica ed AC/DC (Tushino Airfield, tipo 500.000 spettatori, per dire).
Non un fuoco fatuo, ma solo l’antipasto per il loro capolavoro. Vulgar Display Of Power, nel ’92, non era il disco primo in classifica, sia ben chiaro. Però era il disco da avere. I metallari erano un po’ in crisi di identità, con certe sonorità ‘classiche’ per il genere ormai in crisi appunto, le vecchie band in transito su sonorità più orecchiabili e la voglia di qualcosa di nuovo. Se nel ’92 avevi voglia di spaccare tutto, dovevi avere Vulgar. Uno ‘sleeper hit’, che non ha raggiunto la cima delle classifiche ma ha costantemente venduto fino ad arrivare a 2 milioni nei soli USA. Un disco di culto che ha aperto la strada a nuovi trend nel metal.
Con la produzione ancora in mano a Terry Date i suoni sono nitidi senza essere fiacchi, sono potenti e diretti, con tutti gli strumenti a ritagliarsi una parte. Forse unico caso nel genere: la band inizia a fare sempre meno uso della melodia, Phil Anselmo soprattutto inizierà a sbraitare e urlare in modo disperato, dimenticandosi gli acuti e iniziando a lastricare la strada che poi sarà del Metalcore americano. “Mouth for War” è l’opener tutta groove, groove che pure lui sarà sempre più costante negli anni ’90, con il crossover e il nu metal. “A New Level” aggiorna lo spirito dei Black Sabbath, con parti lente e cadenzate e accelerazioni letali. “This Love” porta le influenze hardcore ed è uno dei pezzi che li distingue dalla massa metal, una nevrosi perfetta e schizzata che i Metallica non avrebbero mai potuto scrivere. L’unica concessione alla melodia è la struggente e conclusiva “Hollow” che getta spettri sulla sanità futura della band. La parte del leone è per la loro canzone simbolo: “Walk”. In un unico pezzo il riff indimenticabile di Dimebag Darrell, la ritmica cadenzata di e marziale di Vinnie Paul e tutto il carattere di una band che non le manda a dire ta-tadada RE ta-tadada SPECT ta-tadada WALK! Are you talking to me? Un lato A inattaccabile e un lato B comunque violento da mozzare il fiato. Un disco da pogo feroce da sana ultraviolenza.
I Pantera faranno altri due dischi, sempre più estremi, un live e un ultimo cd un po’ sunto del loro sound. Poi i problemi caratteriali, la separazione ufficiosa con Anselmo, e infine la tragica notizia della morte per omicidio (sul palco) di Dimebag Darrell. Verrà freddato da uno squilibrato mentre si esibiva, assieme al fidato fratello, nel side-project Damageplan. Quello che rimane ora sono le attività dei membri sopravvissuti, come i Down e gli Hellyeah.
Non avranno avuto modo di raggiungere picchi di popolarità come i Black Sabbath o i Metallica, ma il contributo dei Pantera è stato fondamentale per l’evoluzione della scena, e la loro presenza negli anni ’90 è stato un dominio di terrore, un assalto ineguagliato, cazzotti e fiumi di birra. Propongo un brindisi per ricordarli: andate su internet a cercarvi la ricetta del Blacktooth Grin, cocktail inventato da loro e veleno preferito durante il tour. E anche un ricordo tutto italiano: nell’ultima ristampa di Vulgar Display Of Power è contenuto il DVD con la loro esibizione al Monster of Rock di Reggio Emilia del 1992.
E ora andate fuori dalle palle!
Marco Brambilla