7 giugno 2004. Dieci anni fa avevo 15 anni. Se ci penso bene, mi sembra ieri. Se ci penso meglio, cazzo, sono una vecchia carampana.
Avevo 15 anni, dicevo, e non ci capivo molto della vita. Andavo in una scuola superiore di provincia, e non vedevo l’ora di poter scappare via. Avevo i capelli colorati, le scarpe strane, le stesse idee politiche dei comunisti di quarant’anni più vecchi di me, e mi piaceva la musica rock ma anche i Blue. Vallo a capire, poi, se quello che ascoltavo era veramente rock.
Erano gli anni del pop-punk americano, poco dopo sarebbe arrivato l’emo col suo strascico di vans slip-on a scacchi, però c’erano già gli Strokes che ci facevano respirare il profumo del (genere) indie. Che strani anni gli anni duemila.
A me Hot Fuss ha cambiato la vita.
La prima volta che ho visto i The Killers in tv me la ricordo perfettamente.
Ero a casa di mia madre, era un pomeriggio, stavo fissa davanti a MTV come la maggior parte degli altri pomeriggi perché volevo diventare una vj e speravo di imparare qualcosa dalle persone che lo erano già. Non facevo mai i compiti a casa, ero troppo figa per la scuola.
C’era questo ragazzetto con i capelli un po’ da prete un po’ da Gallagher e il kajal nero sugli occhi che cantava una canzone che non avevo mai sentito.
Non era così strano, gli occhi se li truccava pure Billie Joe Armstrong dei Green Day, e all’epoca ci voleva ben altro per impressionarmi. La musica, però, era diversa, non riuscivo a catalogarla, era un qualcosa che non avevo mai sentito prima. Joy Division, direte voi. Duran Duran, diranno altri. Sì, ma c’era quel piccolo qualcosa che non apparteneva a nessuno. Era il video di “Somebody told me”, io mettevo l’orecchio attaccato alle casse della tv per cercare di capire cosa dicesse il testo. Ma avevo 15 anni, e le 15enni di quel tempo non erano come quelle di adesso, che nascono con internet a portata di mano e possono risolvere ogni loro quesito nel tempo di uno schiocco di dita.
Non c’era shazam, non c’era l’adsl, per cercare di capire chi fossero questi The Killers ho dovuto sudare sette camicie, anche perché erano appena stati buttati nel vasto universo della musica, quindi non c’erano molte notizie su di loro.
Scoprii che il cantante si chiamava Brandon Flowers, che Flowers era il suo cognome vero nonostante potesse sembrare un nome d’arte, e che la canzone aveva un testo molto ambiguo.
Io ero più ambigua di loro, quindi decisi che mi sarei tenuta informata.
“The Killers”. Già solo il nome mi piaceva tantissimo. La vita mi aveva già dato qualche coltellata, io ero sempre triste, e chissà perché pensavo che, se avessi fondato una band, si sarebbe chiamata proprio così perché sarebbe stato bello poter uccidere tutto quello che mi faceva stare male. In fondo, ma chi è felice a 15 anni?
In pochissimo tempo ho iniziato a provare per Brandon Flowers quello che adesso una directioner prova per Harry Styles: stessa morbosità, stessi sogni porno, stesso odio verso la sua compagna di vita. Poco dopo è arrivata “Mr. Brightside” ad annebbiarmi il cervello, nel periodo in cui avevo dato il primo bacio e poi lui non lo avevo più visto, quindi quel “it was only a kiss” ci stava così bene che immaginavo Brandon in un angolino della mia camera a prendere appunti sulla mia vita, per poi trasformarli in canzoni.
L’ambiguità continuava a farla da padrona, io continuavo a fottermene alla grande e a far ascoltare le loro canzoni alle mie amiche. Volevo chiamarmi come tutti i nomi di donna che citavano. Non riuscivo a comprendere totalmente i testi, cercavo di a arrangiarli a modo mio, li traducevo e davo loro una libera interpretazione che ancora oggi non sono sicura sia quella giusta. Leggevo tutte le notizie che uscivano su di loro, MTV passava i loro video almeno cinque volte al giorno e io fermavo quello che stavo facendo ogni volta che succedeva. Ricordo che nessuno capiva bene chi fossero, né la loro musica. Comprai “Hot Fuss” originale con i soldi che mi regalava mia nonna ogni settimana, lo ascoltavo giorno e notte, sul lettore cd avevo scritto “The Killers” con un cuoricino col bianchetto. Quel disco l’ho consumato, adesso non si sente più. Avevo addirittura registrato “Mr Brightside” sullo scassato Alcatel che avevo come cellulare e l’avevo messa come suoneria, peccato che praticamente la capivo solo io, per il resto del mondo era un fastidioso rumore.
Quando partiva “Jenny Was a Friend of Mine” io mi sentivo a casa, ovunque fossi, piangevo sempre quando arrivavo a “Smile Like You Mean It” e a “All These Things That I’ve Done”, che ancora oggi mi strappa il cuore e lo prende a calci con un paio di stivali con la punta chiodata, poi c’era “Change your mind” che è sempre stato l’inno delle mie relazioni sbagliate con i ragazzi: “and if the answer is no, can i change your mind?” Mi dicevano sempre di no, e non hanno mai cambiato idea, purtroppo.
Scivolavo in “Hot Fuss” tra una canzone e l’altra, quando arrivavo a “Everything Will Be Alright” facevo sempre la stessa cosa: chiudevo gli occhi, muovevo la testa lentamente a destra e a sinistra, e mi usciva un sorriso. Sono dieci anni che lo faccio, lo farò per altri dieci.
Se devo essere proprio profondamente sincera, “Hot Fuss” non è il mio disco preferito. “Sam’s Town” lo è, forse perché quando è uscito ero leggermente più grande e capivo meglio le cose, forse perché è più cupo come ero e sono ancora io, fatto sta che senza “Hot Fuss” non ci sarebbe “Sam’s Town”, e senza The Killers io sarei una persona diversa.
Ancora oggi sono il mio gruppo preferito, e “Hot Fuss” è ancora così attuale che pensare che invece abbia già dieci anni suona stranissimo, perché io dal mio ipod non ce l’ho mai tolto.
Un amore così grande non si può arginare. Si può storcere il naso, ci si può chiedere perché, si può pure imprecare, ma alla fine parte “Midnight Show” e ti dimentichi pure come ti chiami.
Perché adesso li schifate, perché sono cambiati, perché sono invecchiati, però alle serate indie alle quali vi ostinate ad andare anche se vi vestite da rapper quando il dj fa partire “Somebody Told Me” o “Mr. Brightside” voi vi scatenate, eccòme se vi scatenate, io vi ho visti e vi vedo ancora, alzate le braccia al cielo e cantate a squarciagola.
E allora potete schifare quello che è venuto dopo, o quello che non è venuto e che voi avreste voluto sentire, ma, per favore, ammettete l’importanza di “Hot Fuss”.
Potete schifare quelle cazzo di musichette mezze hawaiane di Day&Age” perché vi giuro che fanno sbroccare anche a me, potete odiare il tira e molla stiamo insieme – ci scogliamo – sono Brandon e faccio un disco solista che è praticamente un disco dei The Killers – sono Ronnie e faccio un disco solista che ho scritto quando ero dipendente dagli allucinogeni – torniamo insieme – ci prendiamo una pausa di nuovo – che va avanti da anni perché anche a me fanno incazzare, ma non potete non ammettere che “Hot Fuss” è stata una botta per tutti noi. Almeno per chi, quando è uscito, aveva la mia età e si sentiva un sacco alternativo.
Ammettete che qualcosa – per voi piccola, per me gigante – lì dentro c’è.
Ha vinto di tutto, ha venduto in tutto il mondo, ma queste cose potete leggerle su wikipedia. Eh ma leggetele però, così vi fate due conti.
Tanti auguri “Hot Fuss”, e grazie di tutto, perché sei una delle cose più belle della mia vita.
Ps: Io Brandon Flowers, poi, l’ho incontrato. Due anni fa, il vostro/nostro Nicola Lucchetta era presente, e ancora non mi sono ripresa del tutto. E sì, gli ho toccato il culo, e non me ne vergogno affatto.
Denise D’Angelilli