La rincorsa agli auguri a Vasco Rossi mi sembra nasconda un filo di ipocrisia. Mi spiego. Oggi sono tutti uniti a fare i complimenti ad una delle figure più importanti della canzone italiana di sempre, anche chi, in tempi sospetti, gli aveva voltato le spalle. È il solito gioco italiano del salto sul carro del vincitore, come se il valore del Blasco si scoprisse solo oggi. Anche testate molto grosse, ultra blasonate celebrano (giustamente) un uomo che non ha mai fatto finta di essere quello che è, nemmeno quando questo lo portava a sposare posizioni molto scomode, ma lo fanno fuori tempo massimo.
Quel che è certo è che, a distanza di mesi, “Vivere O Niente” si dimostra ancora il suo album migliore da tempo e a noi che lo abbiamo sempre amato è questo che importa, non che abbia quaranta, cinquanta o settant’anni. Non credo che il rock invecchi, come sono convinto che chi ha tanto da dire come Vasco, continuerà a farlo. Come avrebbe potuto fare Fabrizio De Andrè, che il talento di Vasco lo capì dopo il primo album.
Luca Garrò