La musica è uno status, vero? Dimmi quello che ascolti e ti dirò chi sei. A volte il finestrino della nostra auto scende giù ai semafori, e quando passiamo lentamente davanti ad agglomerati di gente, facciamo sentire quello che ascoltiamo senza pudore.
Perché noi ci vantiamo di quello che siamo e ci vantiamo di quello che ascoltiamo. Come di quello che ci mettiamo addosso, delle nostre opinioni e idee, del nostro taglio di capelli. Se ci vogliamo bene, qualsiasi marchio comunichi il nostro modo d’essere è da mostrare con orgoglio, come un adesivo o un’etichetta.
Il problema è che non è sempre così, vero? Ci sono ombre nella nostra personalità, tutti le hanno. Quelle cose che se rimangono celate al mondo non fa torto a nessuno, cose che sappiamo solo noi, e che se messe in mostra possono essere travisate o possono rovinare l’immagine di cui tanto andiamo fieri e che tanto ci abbiamo messo a costruire.
Con la musica è la stessa cosa, ci sono playlist che mettiamo sulla nostra bacheca principale perché raccontano chi vogliamo essere per gli altri, ma ci sono quelle che ci danno piaceri nascosti ma che vogliamo tenere per noi. Canzoni che tutti dichiarano di odiare, ma che se capitano nella riproduzione casuale non le skippiamo mai. Perché ci piacciono, ci danno piacere.
Ci ripetiamo ogni genere di giustificazione, piaceva alla mia ragazza, mi ricorda di quando ero giovane, me l’ha dedicata alla radio. Qualsiasi cosa per accettare il fatto di averla sul telefono o sul riproduttore mp3 ma, chissà come, se passiamo davanti a gente mentre la ascoltiamo alziamo il finestrino, se capita sul display della riproduzione casuale lo copriamo pudicamente con la mano, abbassiamo il volume degli auricolari per non correre il rischio che qualcuno di fianco a noi in treno riconosca la canzone.
Sono loro, le canzoni che tutti odiano e dileggiano, ma che quando le ascoltiamo da soli alziamo il volume e le cantiamo a squarciagola come se non ci fosse un domani. Questa playlist è dedicata a loro, le rinnegate, quelle che non portiamo al ballo di fine anno, ma che quando abbiamo bisogno ci sono sempre.
Il Christian Rock
Vittima e colpevole al tempo stesso di un equivoco devastante, questi gruppi suonano metal pesante inneggiando ai dogmi principali del cristianesimo. Un controsenso che ha fatto schiumare la bocca a molti, ma che ha portato alle casse e al business musicale montagne di soldi.
I Fighetti
Più adatti come sottofondo per i cocktail party, ci ritroviamo a cantare le canzoni a squarciagola come profanazione spudorata della nostra mascolinità. Chill’s the new thrill.
Gli Estremi
La doppia cassa e il growl a tutto volume potrebbero portare alla vecchina seduta di fianco a voi in autobus a farsi il segno della croce, alla mamma davanti ad allontanare mestamente il figlioletto innocente dalla vostra ombra biforcuta. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, abbassate il volume. Se siete soli invece, vetri infranti.
Le Ballatone
Cuore di panna, le abbiamo sentite nei film, anche il più tenebroso gruppo metal prima o poi ci casca. Tutti piangiamo, ma di nascosto.
Quelli che si sono venduti
Se i veri fan dei Metallica ci vedessero cantare e ascoltare certi loro pezzi da “Load” e “Reload” ci impiccherebbero in pubblica piazza, ma le emozioni che ci danno sono quasi le stesse di “Master Of Puppets”.
Il Glam
Sono fuori dalle righe, colorati, hanno pettinature vaporosissime. I loro pezzi sono scanzonati, hanno energia da vendere, e sono irresistibili. Difficile giustificare il loro ascolto al di fuori dei party a tema anni ’80 però. Per fortuna ultimamente vanno parecchio di moda perciò, fuori i trucchi e su il volume!
Le perle dell’infanzia
Non possiamo passarci sopra come se niente fosse, anche se spuntano tra i Nirvana e i Massive Attack come la pubblicità dell’incontinenza in mezzo alla visione di un thriller mozzafiato. Ci hanno fatto compagnia quando facevamo ancora le cose per la prima volta. E ogni ascolto è proprio come la prima volta.
Le Boyband
Qui la situazione è molto delicata. Già. (imbarazzo, sguardo abbassato).
I Punkettoni
La carta d’identità ci guarda storto quando ascoltiamo certi cavalli di battaglia e chissà perché, forse per la semplicità degli arrangiamenti e faciloneria dei testi, i pezzi punk hanno con se il marchio della gioventù che sbiadisce con l’ingrigirsi della nostra barba.
I Nickelback
Cosa dire, sono i più odiati dal web e dalla comunità musicale. Questa playlist potevo intitolarla semplicemente “Nickelback” e avrei riassunto tutto il concetto. Ma loro se ne fregano, ci sono sempre, e noi ce li godiamo anche in questa playlist da ascoltare rigorosamente in sessione privata. Buon divertimento!
Daniele Corradi, Chiara Borloni