Prince è morto. Dopo David Bowie, il 2016 ci strappa un altro gigante della musica. Fioccheranno in giro per il mondo tributi pieni di ‘genio’, ‘icona’ e quant’altro. Ma c’è un solo dettaglio fondamentale che mi va di ricordare e sottolineare fino allo sfinimento: Prince era la musica. Punto.
Sono assolutamente certo che con o senza i milioni di dischi venduti, Prince avrebbe comunque vissuto come ha fatto: vivendo e respirando musica ogni giorno. Alternandosi tra la casa-studio e il palco, componendo per sé e per altri, suonando tutti gli strumenti. Esibendosi in un’arena gremita, o solo piano e voce in un teatro, o in un pigiama party a casa sua davanti a pochi eletti (tutte cose che ha fatto per davvero). Diamine, penso che anche mettere un uovo sul fornello per colazione potesse essere per lui fonte di ispirazione…così mi piace pensare che sia nata la recente “Breakfast Can Wait”.
Quanto segue, per una triste coincidenza del destino, era già stato scritto di recente. Per un gruppo di amici che mi chiedeva come giostrarsi nella discografia sterminata dell’Artista, una sintesi di tutti i suoi dischi. Non un’agiografia, mi rifiuto di santificare post mortem chiunque, ma un’onesta sparata senza freni dettata dal cuore. In una tiepida mattina di Aprile quindi, la colazione può attendere, e potete farvi un tuffo in una tra le carriere più entusiasmanti della musica contemporanea. Sometimes it snows in April…
Discografia di Prince
L’impresa titanica è finalmente completata: sono riuscito ad ascoltarli tutti! Ovviamente rimangono fuori i suoi prodotti collaterali dove lui non è il protagonista (The Time, The Family, NPG…) ed è stata già tanta roba. Benché sia forse il mio artista preferito di sempre, dovrebbe essere un modello di vita per tutti.
For You (1978) – Un disco di onesto funk e r&b, con puntate di disco, rock e pop. Si ascolta e via, ma fa impressione considerare come suoni pulito pure oggi e come sia stato creato TUTTO da Prince manco ventenne.
Prince (1979) – Sulla stessa linea del precedente, prende piede però un’atmosfera più ballabile e c’è più consapevolezza pop, dato che contiene la prima hit “I Wanna Be Your Lover” (e “I Feel For You”, nella versione di Chaka Kahn, gli farà vincere un Grammy).
Dirty Mind (1980) – Uno dei capolavori. Esordisce il sound plastificato anni ’80 pieno di sintetizzatori che poi sarà il marchio di fabbrica di Prince. Il disco è una scheggia di 30 minuti di pezzacci trascinanti e divertenti, tutti a tema voracemente sessuale. “Dirty Mind” introduce i suoni robotici e ballabili, “When You Were Mine” è un capolavoro pop-rock che sarà leggendario anche rifatto da Cyndi Lauper…il lato B si apre con “Uptown” e continua come suite dove ad una festa si cambia stazione radio per cercare un pezzo più cazzone dell’altro (e visto che c’è l’ode al pompino “Head” e l’incestuosa “Sister” direi che la scelta non manca).
Controversy (1981) – Pure questo molto popolare, continua sulle stesse coordinate del precedente. Anche se è molto più impegnato a livello di tematiche (vedi “Annie Christian” e “Ronnie, Talk To Russia”). Certo è che preferisco sentirmi i 7 minuti di beat incessante della title track piuttosto che 7 minuti di Prince che ansima simulando l’amplesso in “Do Me, Baby”
1999 (1982) – Altra pietra miliare per Prince, soprattutto dal punto di vista commerciale. Il sound diventa quasi totalmente synthpop e il disco ha due singolazzi storici che lo fanno sfondare definitivamente. Molte le influenze dalla tecnologia del periodo, l’avvento dei sintetizzatori e quant’altro (anche a livello tematico). La title track è uno dei suoi pezzi più famosi, così come “Little Red Corvette” (la mia preferita di sempre, soprattutto per l’intro).
Purple Rain (1984) – Eh, che dire? Se dovete ascoltare un solo disco di Prince, ascoltate questo. N°1 ad oltranza, 20 milioni di copie nel mondo, due Grammy vinti, un Oscar vinto. Assieme al film, è il manifesto di un’era. Grazie all’esperienza accumulata, le canzoni hanno una nuova profondità, c’è dentro di tutto: il power ballatone r&b della title track, il gospel a colpa di riffazzi di “Let’s Go Crazy”, la produzione stratificata di “Take Me With U”, i colpacci di synthpop/new wave di “When Doves Cry” e “I Would Die For U”…pure i cazzo di filler sono geniali.
Around The World In A Day (1985) – Deciso cambio di direzione rispetto alla bisboccia del precedente. Maturazione nella scrittura e nell’arrangiamento dei pezzi, un sound più improntato alla psichedelia, influenze dalla world music…Un disco decisamente più raccolto (anche se non manca il singoletto “Raspberry Beret”), sicuramente coraggioso ma che non mi ha mai preso particolarmente.
Parade (1986) – Ultimo disco con la back-up band The Revolution, pure questo una colonna sonora (di Under The Cherry Moon, che non si cagò nessuno). Cambia lo stile, anche nel vestire: basta con l’Hendrix/Santana anni ’80, arrivano i completi e le pettinature leccate. Il sound a ruota diventa più sofisticato, sfondano definitivamente i fiati, le orchestrazioni e il tutto si regge su percussioni molto particolari. Tra i suoi migliori, ci sono capolavori come “Girls And Boys”, “I Could Never Take The Place Of Your Man” e “Sometimes It Snows In April” e con questo sfonda in Europa (“Kiss” fu tormentone anche da noi).
Sign O’ The Times (1987) – Da molti considerato il suo capolavoro, sicuramente il più apprezzato dalla critica. E’ doppio, e io sono contro a prescindere agli album doppi, ma il materiale è comunque valido. Nato da un periodo burrascoso, in cui ha tipo composto e poi segato ben tre album, raccoglie stilisticamente tutto quello che ha fatto fino a quel momento. Ci sono i pezzi cazzoni tipo “U Got The Look” (dove esordisce anche con la voce effettata dell’alter ego “Camille”), il rap addirittura di “Housequake” ma in generale l’atmosfera è più seria, critica degli anni ’80, senza diventare morbosa. Lo riflette anche il suono dei sintetizzatori, più cupo, ma tutto blah blah per dire che un capolavoro come la title track in pochi se lo possono permettere. Forse è anche il disco coi lenti più belli.
Lovesexy (1988) – Anche questo uscito da un periodo turbolento, praticamente un disco sparato a sorpresa al posto dell’annunciato Black Album. Troppo spesso schiacciato dai classiconi anni ’80, è un disco divertentissimo. Tutto giocato sulla dualità bene/male, sesso/castità, ego/alter-ego (è da qui che inizia a scimmiarsi per la religione), prende il suo funky-pop-rap-cazzone e lo spara con tutti i trucchi di produzione imparati finora. E’ divertimento costante, molto più funkettoso, e verso il finale più lento. Il singolone “Alphabet St.” e i suoi bassi mi ribaltano sempre.
Batman (1989) – Da non confondere con la splendida colonna sonora di Danny Elfman, questa è la prima vera merda fatta da Prince. Probabilmente in stato di ebrezza. Alla fine solo un paio di pezzi erano nel film, tipo “Partyman”. E’ un disco di dance tamarra, praticamente, con un paio di lenti. “Batdance” è la prova che non tutta la roba degli anni ’80 valga la pena di essere ricordata. Ovviamente vendette uno sproposito grazie al successo del film.
Graffiti Bridge (1990) – Sì, Purple Rain ha avuto un seguito che –giustamente- non si è cagato nessuno. Il disco è un pelo meglio del film ma MEH. Come sound è curato, si sente un balzo negli anni ’90 con nuove influenze tipo il rap e l’hip hop ma…manca il fuoco, mancano pezzi davvero interessanti (si ricorda giusto il singolo “Thieves In The Temple”). Il disco è pure doppio, ma tirato su con avanzi degli anni passati…alla fine sono più divertenti i pezzi con i The Time (quella che nei film era la band ‘avversaria’ – sempre un’altra creatura di Prince).
Diamonds And Pearls (1991) – Incredibile come, nel giro di un anno, riesca a passare dalla merda all’oro. Forse perché ringalluzzito dalla nuova backing band “The New Power Generation”. Il sound è pieno anni ’90 ormai, con l’elettronica ormai sparita e sostituita da campionamenti, rap, hip hop ed r’n’b. Uno dei suoi apici commerciali, di sicuro il disco con il maggior numero di singolazzi: “Get Off”, “Money Don’t Matter 2night”, “Cream”, la title track.
The Love Symbol Album (1992) – Non uno dei migliori, ma gradevole. Sound caldo, uniforme sul funkettoso ed Rn’b, qualche pezzaccio tipo “My Name Is Prince” e “Sexy MF”. Però uno di quelli che ascolto di meno del periodo d’oro, come Graffiti Bridge.
The Hits/The Hits 2/B-Sides (1993) – Raccoltona in tre dischi. Canonico doppio best of che è quasi per davvero il suo meglio, con un paio di inediti (da non perdere “Peach” con il campionamento dell’ansimata di Kim Basinger ghgh). Interessante, a livello fun, la raccolta di b-sides, con gemme nascoste come “Irresistible Bitch” ed “Erotic City”…mai dimenticare comunque come Prince ritenga ogni suo pezzo meritevole di essere proposto dal vivo, e anche una qualsiasi bside possa arrivare in scaletta.
A questo punto occorre precisare una cosa. Per me qua il nano inizia a sbroccare totalmente. La cosa che gli ha rovinato la vita è stato entrare in rotta con la casa discografica, in un confronto epocale da cui usciranno solo perdenti. Avrà magari ottenuto il controllo totale della sua produzione, ma ha di sicuro perso il tocco (quasi completamente, per lo meno) e si è infilato in una serie di progetti inconcludenti e crociate inutili (tipo quella contro internet tutta).
Come (1994) – Una delle uscite più oscure, senza promozione, nel periodo turbolento della guerra con la Warner (basta vedere la copertina). Raffazzonato in maniera complessa, una sorta di concept sul rapporto sessuale, suoni pesantemente metà anni ’90 (soprattutto la batteria), è davvero dimenticabile, soprattutto la parte del cunnilinguo. Per tutto il casotto intorno vendette comunque –soprattutto in Inghilterra- ma è totalmente dimenticato.
The Legendary Black Album (aka The Funky Bible) (1994) – La storia intorno a questo disco è più interessante del disco in sé. Sarebbe dovuto uscire nel 1988, una risposta super funky e tematicamente oltraggiosa a chi accusava Prince di essere diventato troppo pop. Venne bloccata l’uscita perché la Warner e Prince cambiarono idea all’ultimo (lui si narra dopo un cattivo trip di ecstasy) e diventò un famoso bootleg lodato pure dagli U2. Nel ’94, in piena guerra, la Warner lo fece uscire legalmente ed è caruccio ma meh.
The Gold Experience (1995) – Quello che per me è il canto del cigno e l’ultimo vero classico. Realizzato in un momento più sereno, riesce a condensare il meglio degli anni ’90 fino a quel momento. Ci sono pezzacci come “Pussy Control” e “Billie Jack Bitch” e gli ultimi singolazzi come “The Most Beautiful Girl In The World”, la grandissima “Gold” e “Eye Hate You”.
Chaos and Disorder (1996) – Di nuovo in rotta totale con l’etichetta, un album tirato fuori con la mano sinistra e senza promozione. Eppure. Tra tutti i dischi suoi di seconda (se non terza) categoria per me questa è la gemma nascosta. Indubbiamente il suo disco più ‘rock’, con un sound caldo da live band, ritmo alto, pezzi tirati. Non ha singoli particolari ma è un ascolto molto soddisfacente.
Girl 6 (1996) – Inutile e strana raccolta come colonna sonora di un film del cazzo di Spike Lee.
Emancipation (1996) – Eccola. Lammerda. Finalmente libero dalla Warner e libero di fare come più gli piace che fa? Lammerda. Se servono esempi di come –a volte- le etichette siano necessarie a far ragionare gli artisti, questo è uno. Prince fa pulizia in casa e butta fuori un TRIPLO disco. Di mediocrità. Non si salva manco la cover di “One Of Us”. Unica gemma nascosta la grande ballad “The Love We Make”. Ha il dubbio merito di essere il quarto ‘triplo album’ più venduto d’America.
Crystal Ball + The Truth + Kamasutra (1998) – Il punto più nero della sua discografia e un altro esempio di come, a volte, le etichette servano. In pratica un box set da suicidio commerciale, un’ operazione gestita in maniera atroce da lui solo. Crystal Ball in sé è un triplo (amò) raccoltone fatto per eliminare la necessità dei bootleg: la promessa riguardava inediti degli anni ’80 e ’90, il risultato sono pezzi di merda di fine anni ’90 e parecchie versioni alternative di pezzi esistenti. In aggiunta, The Truth è un disco acustico chitarra e voce e Kamasutra un atroce strumentale classic-jazz ideato originariamente come colonna sonora del suo matrimonio. Ascoltare tutto questo di fila è un’esperienza disumana.
The Vault: Old Friends 4 Sale (1999) – Manciata di pezzi risalenti al periodo 1985-1994, presi con la mano sinistra, rimaneggiati (male) e lanciati alla Warner Bros per adempiere ad obblighi contrattuali. E dirò, tra tutte le merdacce non è nemmeno la peggiore…in qualche momento si sentono sprazzi del periodo d’oro. Ovviamente quelli della WB pubblicarono il disco solo quando c’era da fare concorrenza a Prince stesso per…
Rave Un2 The Joy Fantastic (1999) – Sarebbe dovuto essere il disco del ritorno in grande stile, con pezzi più radio-friendly e tanti ospiti ma…no (anche perché fallì l’etichetta). Sound abbastanza discutibile, troppo lungo, gli ospiti massacrati nel mix (anche se “So Far, So Pleased” con Gwen Stefani si ascolta volentieri), la cover di “Every Day Is A Winding Road” venuta male male male e così via. Un paio di anni dopo è pure uscito Rave In2 The Joy Fantastic, contenente dei remix assolutamente dimenticabili.
Qua si apre un altro periodo, forse pure peggiore. Un sacco di album sfornati ad un ritmo allucinante, tutti dalla sua etichetta NPG. Dischi sperimentali, dischi pubblicati solo su internet, dischi inviati direttamente a casa degli iscritti del fan club…un disastro.
The Rainbow Children (2001) – Per me trascurabile e di cui non ho memoria all’epoca, fu un pazzo pazzo esperimento di inizio secolo. Il suo disco più jazz, più organico, il ritorno di fiati e suoni caldi (odiosa però la voce effettata). Pezzi però assolutamente fuori di cotenna, una sorta di concept album su questioni sessuali e razziali, infarcito di simbologia religiosa dai Testimoni di Geova fino agli antichi Egizi. Pare che all’epoca fu considerato bene, anche se Prince scelse di evitare la promozione spinta.
The Very Best Of Prince (2001) – Se volete una raccolta, un disco solo, pochi cazzi, questo è il disco (ovviamente solo pezzi pubblicati sotto major)
One Nite Alone…(2002) – Una manciata di pezzi per sola voce e pianoforte che potrebbe anche essere un buon sottofzzzzzzzzzzzzzzzzz…
One Nite Alone…Live! (2002) – Testimonianza live del tour nei club in versione raccolta/acustica/piano e voce. E’ un po’ una mattonella su tre dischi (due per il live principale, il terzo come bonus di uno dei suoi famigerati aftershow), ma è anche un episodio interessante della sua discografia. Per i soli fan, ok, ma dimostra la versatilità e le capacità (se mai ce ne fosse stato bisogno) del folletto.
Xpectation (2003) – Strumentale, jazz, ha i suoi momenti ma francamente dimenticabile. Fa parte del famigerato lotto di dischi pensato esclusivamente per gli iscritti al fan club.
C-Note (2003) – Altra ladrata fatta per sistemare la questione con i tordi del fan club che avevano pagato 100 dollari per ricevere 4 dischi esclusivi. Contiene una manciata di jam registrate durante vari soundcheck, tutta roba sperimentale e abbastanza inconcludente. Degna di nota solo la conclusiva “Empty Room”, inedito che risale al periodo d’oro.
N.E.W.S. (2003) – Un pazzo concept strumentale jazz/fusion con 4 pezzi di 14 minuti esatti ciascuno, ognuno chiamato come un punto cardinale (da cui l’acronimo del titolo). Non ho la forza di scrivere altro.
E qua c’è il grande ritorno, grazie anche ai nuovi contratti spot con le major. Tsè.
Musicology (2004) – Forse è un’esagerazione dire che questo disco gli abbia salvato la carriera…ma di sicuro l’ha riportato sotto i riflettori più luminosi. Tutto grazie a quella linea di basso spaccamerda della title track che è pura droga, e che gli ha regalato un altro classico. Oddio, il resto del disco non regge il passo (ci si ricorda a stento di una “Cinnamon Girl”), però è uno stilosissimo funk e r’n’b come non si sentiva da tempo.
The Chocolate Invasion (Tracks From The NPG Music Club Vol.1) e The Slaughterhouse (Tracks From The NPG Music Club Vol.2) (2004) – Pochi lo sanno, ma la volpe, per sfruttare il lancio tramite major di Musicoligy, ha ben deciso di raccogliere un altro lotto di pezzi che giravano da qualche anno su internet e farne raccolta per gli abbonati al fan club. E…oh, si è visto di peggio. Tra tutta la robaccia che ha fatto uscire per canali alternativi, questa almeno è la migliore. Due dischi sensati e compiuti: più tradizionale il primo, più danzereccio e cazzone il secondo. Non sono davvero male e qualche pezzo si salva come “Silicon”, “Vavavoom”, “S&M Groove”, “Supercute”, “U Make My Sun Shine”.
3121 (2006) – Prince sfrutta bene la ritrovata popolarità con un ottimo disco, magari non un classico, ma che lo riporta al numero uno della classifica (non capitava dal 1989!). Molto più vario e divertente di Musicology, c’è dentro di tutto: influenze latine “Te Amo Corazon”, tamarrate ballabili “Black Sweat” (e che video!), cazzeggi funk “Lolita”, giocare a fare Hendrix “Fury”. Davvero un gran colpo di coda.
Ultimate Prince (2006) – Raccolta pubblicata sull’onda del successo ritrovato (ovviamente dalla Warner Bros). Non mi fa impazzire, ma è qualcosa di un poco diverso. Il primo disco è un canonico best of con un gruppo di sue hit in versione singolo…peccato che limi qualcosa di buono per fare posto a pezzi minori come “My Name Is Prince” o la versione originale di “Nothing Compares 2 U”. Il secondo disco contiene invece una selezione di successi nella versione 12” ed extended (i maxi singolazzi degli anni ’80, versione estese fatte in casa per le discoteche, prima che venisse la moda malsana dei remix techno): qualcuno è interessante (“Kiss”) qualcuno no (“Little Red Corvette”) qualcuno è proprio una grande sorpresa (“She’s Always in My Hair”).
Planet Earth (2007) – Quanti ricordi per Planet Earth. Mossa commerciale azzardata: in Inghilterra fecero uscire il disco in edicola allegato al Sun, e una copia era pure in regalo per ogni biglietto comprato. Lo vidi a Londra durante la sua residency all’O2 Arena nel mese di Agosto (un’idea che MJ cercò di copiare, schiattando però poco prima di incominciare), in un concerto della stramadonna. Nonostante il disco sembri buttato via così, non è niente male. Ha un sound pieno, organico, un feeling molto anni ’60 (”The One U Wanna C” su tutte) pur senza suonare retrò. C’è molto RnB, vedi la title track, “Somewhere Here On Earth” (c’è il video con…la Arcuri :D)…ma non mancano i singoletti tirati come il rocknrolle di “Guitar” e la funkettosa “Chelsea Rodgers”. Molto buono, ha pure diverse partecipazioni di vecchi amici della band (Wendy & Lisa, Sheila E. etc etc)
Indigo Nights (2008) – Dopo la residency a Londra è stato anche pubblicato un libro (21 Nights), con in allegato questo live. Raccoglie pezzi dalle esibizioni degli aftershow all’Indigo. In pratica il pazzo suonava il suo concerto e poi, a seconda dell’umore, si presentava o meno con la band nel localino pettinato adiacente all’arena per divertirsi ancora un po’. Immagino fosse per lui una sorta di defaticamento. Come disco niente di che comunque, praticamente zero brani noti…giusto un extra per il libro. E pensare che dischi live ufficiali non ne ha mai fatti….
LOtUSFLOW3R/MPLSound + Elixer (2009) – Continua il periodo positivo con un’ altra ottima uscita, ricordo che all’epoca mi piacque un botto (nonostante doppio disco e forse con qualche filler). Il primo disco continua con le sonorità più calde, live, rock e rnb di gusto classico (vedi la cover di “Crimson And Clover/Wild Thing”). In generale il mood è più introspettivo e serio (“Colonized Mind”, “Wall of Berlin”, “77 Beverly Park”). Il secondo disco è il lato party e cazzone con un grande ritorno di sonorità e suoni prese direttamente da Purple Rain e 1999, vedi pezzacci come “Chocolate Box”, “Dance 4 Me” e “Valentina”. Ultimo disco è un aggiunta in regalo, un rnb cantato dalla sua protetta Bria Valente che non aggiunge nulla ma all’epoca lui disse che grazie a questo disco come sottofondo sarebbero stati concepiti molti bambini quindi vabbeh.
20Ten (2010) – Non può splendere il sole per sempre. Dopo una serie di dischi molto buoni, lo Yoda porpora di Minneapolis (sic) si intoppa in un disco abbastanza scialbo. Non terribile, ma non rimane molto in testa. Continua il tentativo di recuperare certe sonorità anni ’80, ma viene fuori solo una produzione scialba (vedi l’opener che sembra la versione dei poveri di “Let’s Go Crazy”). C’è anche da dire che fu un album pensato per essere distribuito con diversi giornali europei. Poco promettente, ma all’epoca lo vidi nel tour a sorpresa che lo portò a Roma e Milano: lui era malaticcio ma piazzò un concerto assurdo con una band in pallissima, un sacco di cover funkettose anni ’70, un sacco di singolazzi anni ’80, altri pezzi funkettosi dei The Time e tre encore (di cui l’ultimo a luci accese e con la gente presa di sorpresa). Cazzo ripensandoci fu un concerto della stramadonna. (Andò anche allo Sziget…, ndr)
Art Official Age (2014) – Prince va a periodi, c’è poco da dire. Chiaro che sia in grado di scrivere un disco intero nell’arco di un weekend, ma c’è da sperare che sia un momento di ispirazione buona. Tornato ad una pettinatura afro come ai tempi degli esordi, Prince presenta una dozzina di pezzi nuovi, principalmente R&B, ma con un sound decisamente moderno, spesso sull’elettronico. Non è promettente l’apertura tamarra (sembra una b-side dei Black Eyed Peas), ma il disco si riprende velocemente, con tre pezzi assolutamente diversi e testimoni della varietà del lavoro. “Clouds” mischia il lato R&B con sonorità elettroniche, “Breakdown” è un suo classico lento in falsetto, sostenuto da una produzione piena di orchestrazioni (e come miagola sul finale!). “The Gold Standard” è uno dei suo funkettoni più divertenti, pieno di suoni elettronici, drum machine, quel sound di gomma e plastica che è stato suo marchio di fabbrica negli anni ’80… Decisamente inteso e coinvolgente. Il sound del disco è un ottimo collante, con bassi caldi e profondi, chitarre squillanti e la voce di Prince su tutto a far da padrona. Ancora, si tratta di un disco R&B dove la velocità non è all’ordine del giorno, ma l’intensità e la bontà dei pezzi fanno la differenza. Il singolo “Breakfast Can Wait” (il video!!), “This Could Be Us”, sono tutti ottimi pezzi, e il disco scorre via elegante e raffinato. Non avrebbe fatto male qualcosa di più movimentato nel finale, ma poteva andare peggio.
PLECTRUMELECTRUM (2014) – Mmmmmmeeeeeeeh. Rilasciato contemporaneamente al suo solista, è una produzione ideata per farlo suonare con una manciata di fighe (le 3rdeyegirl). Fighe sono fighe, suonare sanno suonare. Il disco è un onesto funk rock, ma è una cosa che si sarà intrippato a mettere giù in un weekend e via, più che altro per giustificare certe trovate come il concerto pigiama party e così via. Senza infamia e senza lode.
HITnRUN Phase I & II (2015) – L’ultima uscita. Non l’ho ancora ascoltato. Magari ascoltatelo prima voi e poi ditemi.
Marco Brambilla