Mai come negli ultimi due anni in Italia se ne sono lette e sentite di tutti i colori riguardo la musica trap. È ormai entrata nella storia la puntata di “Che tempo che fa” dello scorso anno in cui Fabio Fazio, Elisa e Manuel Agnelli cercano di spiegare al pubblico a casa la trap. Il tema, così fuori luogo in un programma Rai, era comparso a causa della presenza, a detta di Fazio, di un pezzo dalle forti sonorità trap nel disco di Elisa. Ovviamente il brano, “Peter Pan”, non aveva niente a che fare con la trap, e i tre non sapendo bene che pesci prendere si sono affidati, nell’imbarazzo generale, a Marzullo che ha chiuso la questione dicendo: “non so cosa sia realmente questa trap, di sicuro non va confusa con l’ex allenatore Giovanni Trapattoni conosciuto da tutti come Trap”.
Se la televisione non se la passa bene, i siti di giornalismo musicale non se la passano di certo meglio. Esclusi i portali di settore come Rapburger, Hano e inserisco pure Noisey, gli altri brancolano abbastanza nel buio. Mi è capitato recentemente di vedere accostata la trap al nuovo album dei Kolors solo perché in un pezzo è presente il rapper statunitense Gucci Mane. Dai, per favore.
Fazio, Elisa e Manuel Agnelli non sanno cos’è… di virginia-ricci
Una volta per tutte cerchiamo, senza nessuna presunzione, di fare un po’ di chiarezza. Per prima cosa, stiamo parlando di un sottogenere del rap che nel nostro Paese ha preso piede tra il 2015 e il 2016 grazie al web, soprattutto Youtube. Ispirandosi ai canoni stilistici della scena statunitense e francese, ragazzi dai 18 anni ai 25 anni hanno portato alla ribalta un rap più melodico ma che non c’entra nulla con il pop.
Come tutte le mode qui da noi è arrivata dopo. Negli Stati Uniti infatti i primi esempi, manco a dirlo, trovano sfogo e spazio già nel 2010. Gucci Mane (quello presente nel disco dei Kolors), Future, Young Thug, Lil Uzi Vert e i Migos oggi sono soltanto alcuni degli esponenti di spicco del genere.
La trap stravolge le metriche tradizionali e le rende più musicali – spesso ipnotiche – arrivando a modificare in alcuni casi il concetto di tempo. Alcuni rapper, sulla trap, non vanno nemmeno a tempo, ma fanno qualcosa di nuovo e particolare. Penso a Tedua. Le prime volte che vieni a contatto con il rapper genovese non lo riesci a capire, ma una volta superato il pregiudizio iniziale vieni letteralmente rapito, intrappolato nel suo mondo. Tedua è un genio e non a caso l’etichetta di Fedez e J-Ax ha messo gli occhi su di lui. Non ci credete? Recuperatevi su YouTube le Stories della Ferragni.
Inoltre, come scrive Paola Zukar nel libro “Rap – Una storia italiana”: “Nella trap le metriche e le voci vengono immerse nuovamente nell’autotune. Le strumentali subiscono il fascino del South, della West Coast, dell’incredibile e inconfondibile, bellissimo e magico suono della batteria 808. Nei versi si citano brand street come Supreme o di alta moda come Versace e Gucci. Si intitolano canzoni con nomi di personaggi noti. Il rap, con la trap, s’impone di essere cool e concentrato più sull’immagine e sulla fama“.
L’Italia nel 2011 non era pronta. Guè Pequeno e i Club Dogo, che utilizzavano l’autotune e nei loro testi parlavano di vestiti e soldi, venivano criticati aspramente da giornalisti, rapper e fan. Il fatto di “modificarsi” la voce e parlare di argomenti futili e privi di messaggi forti non era visto bene. Oggi fortunatamente le cose sono cambiate e anche il rap italiano, grazie alle produzioni di Charlie Charles, Chris Nolan e Sick Luke, è riuscito a evadere dall’Italia, arrivando in Francia.
Sfera Ebbasta ha portato la sua Cinisello Balsamo in Francia. Il rapper Lacrim nel suo disco ha riadattato il brano “Figli di papà” in francese. Non è una cosa da poco. Anche Ghali è presente in quel disco nel pezzo “Tristi”. Non era mai successo prima. Rapper italiani chiamati a promuovere i loro dischi in programmi radio francesi. La trap è riuscita a far diventare internazionale il rap italiano. Questo è potuto succedere perché i giovani di oggi, se ne fregano del rap che c’era prima pur rispettandolo, a differenza dei “vecchi” troppo legati a un suono che ha fatto il suo corso.
Stefano Mazzone