La riscossa era già iniziata con “Done With Mirrors” (1985), ma pochi se n’erano accorti. In ogni caso, il rientro di Joe Perry in formazione doveva per forza portare qualcosa di buono, semplicemente bisognava aspettare che gli Aerosmith si rodassero nuovamente e trovassero il produttore giusto. Detto, fatto. Con Bruce Fairbairn in cabina di regia e una manciata di canzoni superlative, “Permanent Vacation” rilancia prepotentemente il nome della band di Boston nel firmamento delle rockstar assolute. La produzione è al passo coi tempi, la grinta quella di dieci anni prima e l’ispirazione ai massimi livelli. Steven Tyler e compagni non mutano quasi nulla del loro classico stile hard rock/blues, semplicemente l’adattano ai tempi, utilizzando soluzioni vicine talora al glam/hair metal coevo (cfr. il suono dei riff e del solo di Perry in “Magic Touch”, perla nascosta del disco), talaltra all’AOR più melodico (la ballad “Angel”). Ci sono poi gli arrangiamenti per fiati dei singoli “Rag Doll” (praticamente hard swing) e “Dude (Looks Like A Lady)”, le atmosfere retrò di “St. John” e l’immancabile omaggio alle dodici battute di “Hangman Jury”, con tanto di armonica. “Permanent Vacation” raccoglie 5 dischi di platino in patria e, novità, uno d’oro in UK; se negli anni Settanta gli Aerosmith erano stati soprattutto un fenomeno nordamericano, ora si preparano a conquistare il resto del mondo.
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