Si possono amare oppure odiare, ma gli Agalloch meritano comunque il massimo rispetto per esser stati fra i pochi a saper dire qualcosa di nuovo nel panorama metal dell’ultimo decennio. Il loro stile, subito etichettato come post metal, è in realtà costituito da una complessa trama di rimandi al progressive, al neo folk, al doom, persino al black (alcune parti vocali sono in scream) e al post rock. A legare il tutto, un senso di misticismo panico ripreso direttamente dai Trascendentalisti americani dell’Ottocento, Henry David Thoreau e Ralph Waldo Emerson in testa: una citazione di quest’ultimo campeggia in bella vista proprio sopra il cd di “The Mantle“. Che rimane tuttora l’opera più significativa per la band di Portland, amplissima nel ventaglio stilistico e ricca di sorprese (nell’introduttiva “A Celebration For The Death Of Man…” riecheggiano chiaramente i Death In June). Le lente, sinuose, umbratili e dilatate perorazioni di “In The Shadow Of Our Pale Companion” e “The Hawthorne Passage” mostrano una cifra stilistica sviluppatasi in totale autonomia dalle radici che la nutre. Soprattutto, sanno emozionare profondamente l’ascoltatore che è disposto a perdersi nei loro labirinti.
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