C’era un tempo in cui Alan Sorrenti non era ancora figlio delle stelle e sfruttava le sue doti canore per celebrare il rock d’avanguardia. “Aria” è uno dei più begli esempi di progressive italiano, inimitabile nel suo coraggioso perseguimento di una musica aliena dal rock sinfonico estero e ancorata agli umori del paese natio. Il musicista napoletano si circonda di strumenti prevalentemente acustici e crea l’immaginifica suite che dà il titolo al disco, quasi venti minuti di canto spericolato che si spande ai quattro venti, mentre tutt’intorno le tastiere, le percussioni, la chitarra classica e il violino di Jean Luc Ponty navigano nel luminoso vuoto di un pomeriggio secco e assolato. Interessanti anche i tre brani del secondo lato, con la tromba e il trombone a far capolino in “Un fiume tranquillo”, ma il cuore pulsante dell’album rimane “Aria”, grazie alla quale Sorrenti viene persino paragonato a Tim Buckley, non senza fondate ragioni. Questo debutto sarà anche il punto più alto della sua carriera.
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