Agli Alcest va un grandissimo merito, ossia quello di aver svecchiato il post-metal e il cosiddetto blackgaze (un particolare sottogenere che fa suoi sia gli elementi atmosferici dello shoegaze, che la violenza diretta del black metal), aprendo la strada per una serie di nuove formazioni (leggi alla voce Deafheaven e Astronoid) che hanno sviluppato e ampliato il discorso negli ultimi anni del decennio. Il sesto lavoro del duo francese composto da Stéphane “Neige” Paut e Jean “Winterhalter” Deflandre si pone in perfetto equilibrio tra le due correnti sopracitate, approfondendo e consolidando il ritorno alle sonorità blackgaze presente già nel precedente “Kodama” (2016). È proprio questo l’“istinto spirituale” a cui gli Alcest fanno riferimento, le due facce diametralmente opposte della stessa medaglia (luce e ombra, istinto e ragione, anima e corpo), che si riflette in una proposta in cui le contraddizioni non sono un ostacolo, ma anzi le fondamenta su cui tutto si basa.
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