Antonello Venditti – Lilly

Quando Venditti giunge al traguardo del quinto album da studio, ha già una carriera importante alle spalle: l’esperienza con Francesco De Gregori nell’esordio con “Theorius Campus” (1972), disco in cui è presente “Roma capoccia”, e poi una manciata di brani in cui, accompagnandosi all’immancabile pianoforte, canta d’amore e di protesta, in un’alternanza fra sociale e privato che trova pochi corrispettivi nel cantautorato italiano degli anni Settanta. È però solo con “Lilly” che Antonello raggiunge davvero il grande pubblico (l’LP arriverà al primo posto in classifica e sarà l’undicesimo più venduto alla fine del 1976). Si tratta, probabilmente, dell’opera che meglio sintetizza il precorso sin lì compiuto dal musicista; c’è spazio per l’invettiva politica (“Lo stambecco ferito”, “Compagno di scuola”), ma anche per la canzone d’amore (“L’amore non ha padroni”, dedicata a sua moglie Simona Izzo). C’è, soprattutto, “Lilly”, primo testo di un cantautore italiano che affronta con linguaggio crudo e diretto il tema della tossicodipendenza, nella tragica parabola dell’eroinomane a cui è dedicato il brano. Una piccola rivoluzione. Anche a livello strettamente musicale Venditti approda ad un perfetto equilibrio fra fraseggi pianistici, arrangiamenti per archi e parti affidate alle chitarre.

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