Già nel disco precedente, “Aspera Hiems Symfonia”, i norvegesi Arcturus avevano dato prova di creatività al di fuori del comune. Nelle loro mani il black metal sinfonico mutava in qualcos’altro, ancora oggi difficilmente definibile. È però con “La Masquerade Infernale” che il genio di Garm, Hellhammer e compagni esplode definitivamente. Non fatevi ingannare dalla scarsissima popolarità mainstream di questo disco, perché si sta parlando di uno dei maggiori capolavori della musica moderna, considerata nel suo complesso. Di black non c’è più nulla e l’avantgarde metal è reso irriconoscibile da una scrittura che incorpora cadenze trip hop, squarci elettronici e un sottilissimo uso di strumenti classici, dagli archi ai fiati, in grado di passare da sinuosità tardo romantiche a illividimenti e dissonanze novecentesche. Garm abbandona lo scream e sfrutta la sua ugola in un beffardo e teatrale registro baritonale, perfetto nel dar vita ad atmosfere sulfuree e inquietanti. Magistrale anche l’uso delle tastiere. Le più furiose sferzate metalliche vengono quasi interamente concentrate in “Alone”, brano in cui la band mette in musica l’omonima poesia di Edgar Allan Poe; nel resto dell’opera si assiste a un’incessante alternanza di ascensioni verso il cosmo (“Ad Astra”) e sprofondamenti in minacciose dimensioni Lovecraft-iane (“The Chaos Path”). Come se si stesse assistendo a una torbida rappresentazione scenica. Dedicata dagli autori alla “Pericolosa Ricerca dello Spirito Faustiano”, quando si conclude, “La Masquerade Infernale” lascia attorno a sé persistenti tracce di zolfo.
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