Primo LP ad uscire per la loro etichetta discografica, la Apple, il cosiddetto “White Album” – chiamato così per la copertina spoglia e minimalista – testimonia della disgregazione in atto nei Beatles. John, Paul, George e persino Ringo non hanno più alcuna voglia di essere d’aiuto l’uno all’altro nel processo di composizione delle canzoni, e le spinte centrifughe provenienti dai quattro sono ormai inarrestabili. Così “The Beatles“, monumentale doppio album, ha la forma di un mosaico frantumato piuttosto che quella di un’opera unitaria. Trenta schegge impazzite e a se stanti che svariano dal rock violento e crepitante di “Helter Skelter” (non si era mai sentita tanta furia in un loro brano) alla dolcezza folk di “Blackbird”, passando per il consueto vaudeville di “Ob-La-Di, Ob-La-Da”, i Beach Boys incattiviti di “Back In The U.S.S.R.” e l’inedita sperimentazione di “Revolution 9”. Nonostante tanta eterogeneità, nell’estate del ’68 i Fab Four sono all’apice della creatività, tanto che incidono un altro capolavoro, forse il più grande, meno coeso ma ancor più ricco di spunti del precedente “Sgt. Pepper’s”. Nei decenni successivi queste 4 facciate saranno saccheggiate da chiunque.
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