Nel corso degli anni Novanta Ben Harper e i suoi “Criminali innocenti” avevano già sparso lumi di saggezza rock, blues, folk, soul e funk dalle striature moderne (leggi, hip hop e affini) tramite dischi importanti come “Welcome To The Cruel World” (1994) e “Burn To Shine” (1999). D’accordo, il cantante e polistrumentista californiano non inventava un bel niente, ma il patchwork di stili che infondeva nelle sue composizioni ne sottolineava l’ottimo gusto musicale, nonché notevoli doti di scrittura. “Diamonds On The Inside” è il primo LP in cui a campeggiare è solo il nome del leader, anche se la backing band degli Innocent Criminals resta a supportarlo nelle registrazioni in studio. Rimane il suo più grande successo a livello d’immagine e classifiche (in Italia farà il botto, agguantando un platino e risultando l’11esimo album più venduto a fine anno), nonché il più composito dell’intera carriera. C’è davvero tutto, dal reggae (“With My Own Two Hands”) al funk (“Brown Eyed Blues”), dal folk sudista (la title – track) all’hard rock (“So High So Low”), passando per altre innumerevoli inflessioni stilistiche. Meno iconico di Lenny Kravitz, Harper è tuttavia artista molto simile nell’ispirazione retrospettiva e, in tempi in cui la musica afroamericana è dominata dall’hip hop, si pone fra i più fieri custodi della tradizione.
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