Più del contenuto artistico, “Beyoncé” è un prodotto che dice molto delle dinamiche del music biz dei nostri giorni. E per nostri s’intende l’istantaneità contemporanea. Così com’è stato istantaneo il successo del progetto: 14 canzoni inedite e 17 video (da cui l’espressione “visual album”), messe in commercio su iTunes il 13 dicembre ex abrupto, senza alcun tipo di promozione. E, nonostante questo, “Beyoncé” viene scaricato da 828.773 persone da tutto il mondo in appena 3 giorni, record assoluto per lo store online della Apple (per la cronaca, ora si è già superato il milione di copie). Il rimanere sottotraccia e stupire con un’uscita del tutto inaspettata è l’altra strategia adottata dalle popstar di oggi per catturare l’attenzione dei riflettori, accanto al più consueto e spesso colossale battage mediatico (vedi alla voce Daft Punk); un metodo che funziona a patto di esser superstelle già ampiamente affermate (non si facciano illusioni i musicisti debuttanti). Meccanismi commerciali a parte, due parole sul disco. Iperprodotto, dai consueti suoni R&B sintetici, eppure leggermente diverso dai quattro precedenti della Knowles. Perdurano i due volti ritmato/romantico, tuttavia le atmosfere e alcuni testi si fanno più scuri e intimisti, trattando temi come la depressione post parto e, in maniera inconsuetamente esplicita, il sesso (cfr. “Drunk In Love”, in duetto col marito Jay-Z). Ulteriore prova di questo inedito “impegno” è “***Flawless”, traccia di urban pop in cui compare la voce della scrittrice femminista nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie. Vedremo come lo ricorderà la storia. Per ora “Beyoncé” è un centro pieno.
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