Per molti “Black Sabbath” e “Paranoid” costituiscono i primi esempi di heavy metal vero e proprio (c’è chi parla già di doom metal, addirittura). Non è proprio così: la matrice hard rock/blues è ancora evidente (cfr. l’armonica in “The Wizard”). Certo, questa è spaventosamente amplificata e letteralmente stravolta dai riff grassi e saturi della chitarra di Tony Iommi, dal basso acido di Geezer Butler, dalla batteria pesante e cadenzata di Bill Ward e dal canto sgraziato dell’ex macellaio Ozzy Osbourne. Qualità che fanno dei Black Sabbath la band che più di ogni altra ha influito su tutto il metal, compreso ogni suo sottogenere. “Black Sabbath” (la canzone), con la pioggia, le campane a morto e l’evocazione del Maligno in persona non solo fa da battistrada a tutto quel che di “satanico” il rock proporrà in futuro, ma è anche la vetta più alta del dark sound coevo, nato dalla disillusione del post Sessantotto. Non basta: il ciclopico riff che la fonda e l’ottundente cavalcata infernale che la conclude spianano la strada al disco successivo, “Paranoid“, che oltre ad avere un successo senza precedenti per il tipo di musica contenuta (quadruplo platino negli States), sarà anche saccheggiato a man bassa da orde di metallari di almeno due generazioni. I riff di “War Pigs”, “Iron Man” e della title – track stessa sono ancora oggi un esempio insuperato e insuperabile nell’ambito della ‘musica dura’, che si parli di tematiche horror o meno. In questo senso molti non li hanno mai capiti.
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