Con il sesto album da studio, i Black Sabbath chiudono la sfilza di capolavori pubblicati durante l’era Ozzy; i due dischi successivi, “Technical Ecstasy” (1976) e “Never Say Die!” (1978), si riveleranno non all’altezza della fama della band, certificando l’esaurimento creativo della formazione storica. Per contro, “Sabotage” è un disco ancora ricco d’idee, in cui i primi dissapori interni non minano il risultato finale. Stilisticamente siamo dalle parti del precedente “Sabbath Bloody Sabbath” (1973), con Osbourne, Iommy, Butler e Ward intenti a mescolare l’heavy metal ossianico delle origini con componenti eterogenee quali progressive e perfino qualche spunto jazzato, come accade nella seconda parte di “Symptom Of The Universe”, la cui prima metà, al contrario, esibisce un riff duro e serrato, suonato a velocità sostenuta, tanto da poter sembrare un preludio al thrash metal degli anni Ottanta. Il resto si divide fra il grezzo hard rock di “Hole In The Sky”, le tentazioni operistiche (!) di “Supertzar” e i cambi d’atmosfera delle lunghe “Megalomania” e “The Writ”, altre composizioni in cui la fantasia musicale dei Black Sabbath ha ancora modo di mostrarsi in tutto il suo splendore. Di fatto, il successivo inaridimento del songwriting del gruppo segnerà anche la crisi che la prima, storica ondata hard rock/heavy metal attraverserà nella seconda parte dei Settanta.
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