Nel 1997 il britpop inizia a dare i primi segni di stanca. Non i Blur, però, che da primattori del movimento intuiscono subito la virata dei gusti e scrivono quello che, con tutta probabilità, rimane il loro capolavoro. Se “Parklife” significava la canonizzazione di uno stile, al contrario “Blur” fa e disfa a proprio piacimento, innestando scampoli di krautrock, classicità americana e altro ancora su di un tessuto, nonostante tutto, ancorato agli stilemi british. In realtà quest’omonimo non è il disco più compatto e ben amalgamato di Damon Albarn e soci, ma il più ricco e fantasioso. Si va dall’hard rock saettante di “Song 2” alle spezzettature del discorso musicale di “Essex Dogs”, passando per la Dylan-iana “On Your Own” e i sapori teutonici di “Theme From Retro”. Per gli ascoltatori più superficiali i Blur rimarranno quelli di “Girls And Boys”, chi ama davvero la band sa che quest’episodio discografico rimane l’attimo più furiosamente creativo del quartetto inglese.
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