Dopo la sbornia mistica della trilogia “Slow Train Coming” (1979), “Saved” (1980) e “Shot Of Love” (1981), Dylan trascorre gli anni Ottanta pubblicando buoni album, sebbene lo smalto dei tempi migliori sembri definitivamente svanito. Niente di più sbagliato. Il musicista di Duluth stupisce per l’ennesima volta critica e pubblico con “Oh Mercy“, che chiude la decade in modo sontuoso. Prodotto da Daniel Lanois (e la sua mano si sente soprattutto in “Most Of The Time”), il disco non offre nulla di nuovo. Quando però il vecchio si chiama “Man In The Long Black Coat”, ballad di grandissimo fascino, oppure “Everything Is Broken”, blues rock che richiama i tempi di “Blonde On Blonde”, o ancora “Ring Them Bells”, accorato gospel per voce e pianoforte, allora non si può parlare di sclerotizzazione dello stile bensì di insuperata e insuperabile cifra stilistica di un gigante del Novecento. “Oh Mercy” è la nuova dimostrazione del teorema – Dylan: almeno un capolavoro ogni decennio.
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