Con quest’opera Eno giunge alla canonizzazione assoluta dell’ambient music. Il titolo è già molto esplicativo al riguardo: si tratta di quattro composizioni che spingono oltre la lezione di “Discreet Music” (1975), fondando un linguaggio che sviscera le intuizioni dei minimalisti americani sin nelle loro più riposte fibre. Un pianoforte acustico ed uno elettrico, un sintetizzatore e voci che si spandono negli spazi vuoti di un ‘non luogo’ contemporaneo (non necessariamente un aeroporto): non c’è nient’altro in questi 48 minuti di musica lenta, avvolgente, meditativa, immutabile se non per impercettibili rifrazioni soniche. “Music For Airports” è ben lontana dalla fascinazione cosmica dell’elettronica tedesca dei primi Settanta; è piuttosto la ricerca dell’Assoluto nella psiche dell’individuo, un viaggio mentale che non porta fuori da sé, anzi parte dal presupposto contrario. Non solo “tappezzeria sonora”, quindi. È anzi un ascolto molto, molto ostico, che deve rispondere a determinati e circoscritti stati d’animo dell’ascoltatore per aver efficacia. Andando oltre ai giudizi di valore, si sta parlando di un disco seminale che, come molti altri del musicista inglese, influenzerà moltissima musica nei decenni successivi.
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