Brian Eno – Another Green World/Discreet Music

Il 1975 può esser considerato l’anno più importante nella carriera di Brian Eno. La sua rivoluzione silente non verrà percepita nell’immediato, ma scaverà nel profondo della musica del Ventesimo Secolo, sino a raggiungere il Terzo Millennio con la medesima significatività degli esordi. “Another Green World” è già un disco epocale: in 14 tracce il musicista inglese pone le basi della futura ambient music, che in brevi frammenti strumentali come “In Dark Trees”, “The Big Ship”, “Little Fishes”, “Becalmed”, “Zawinul/Lava”, “Spirits Drifting” e nella stessa title – track assume qualità pittoriche, impressioniste, indicando all’ascoltatore nuove ipotesi di ascolto. Merito di un’interazione fra strumenti elettrici ed elettronici perfetta, avanti di anni rispetto all’epoca in cui viene realizzata: gran parte dell’efficacia è anche ascrivibile al nuovo ruolo dato allo studio di registrazione, che per Eno assume l’importanza di un vero e proprio strumento, in grado di modificare, amplificare e stratificare tutte le voci degli altri mezzi sonori. La sua è un’arte che fonde il minimalismo statunitense di Terry Riley e Philip Glass con la forma aforistica delle composizioni di Anton Webern, trasponendo il tutto in una dimensione straordinariamente ‘pop’. La lista dei collaboratori presente in “Another Green World” è impressionante: si va da John Cale a Phil Collins sino a giungere a Robert Fripp, autore di un fulminante assolo di chitarra in “St. Elmo’s Fire”. Perché in questo capolavoro non manca neppure il rock, quello più visionario, tanto che “Sky Saw” potrebbe esser visto come l’anello di congiunzione fra “Red” dei King Crimson e “Heroes” di David Bowie, grazie soprattutto al magistrale lavoro di Brian con la digital guitar. Ma in quell’anno Eno è in stato di grazia; infatti, appena due mesi dopo la pubblicazione di “Another Green World”, ecco un altro tassello imprescindibile del sound contemporaneo, “Discreet Music”. È la nascita ufficiale della musica ambientale. Se la seconda parte del disco, formata da tre variazioni per ensemble del canone di Pachelbel, mostra ancora numerosi agganci con la musica minimalista dell’epoca, nella title – track ci sono solo suoni di tastiere e sintetizzatori, che lentamente, inesorabilmente si liquefanno nel paesaggio circostante. Anzi, in due paesaggi: quello materiale del mondo esterno e quello mentale dell’ascoltatore. Secondo alcuni, la principale ispirazione per queste invenzioni soniche Eno l’avrebbe ricevuta dalla “musica da tappezzeria” che Erik Satie escogitò agli inizi del Novecento. Altri indicano nella lezione di John Cage la scintilla che porterà il Nostro ad ideare le sue “strategie oblique”. Mentre l’autore stesso indica l’origine dell’illuminazione in un disco di musica per arpa del Settecento, ascoltato a volume bassissimo, tanto che le note si confondevano con il rumore della pioggia al di là della finestra. Quel che qui interessa è che questi due lavori cambieranno molte, molte cose negli anni a venire.

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