Umanamente Varg Vikernes, alias Count Grishnackh alias Burzum (la band è sempre stata e sempre sarà roba esclusivamente sua), è indubbiamente un personaggio esecrabile. Non solo ha commesso un assassinio, ma ha sempre rivendicato posizioni per lo meno cripto naziste, amplificando il tutto con azioni e pensieri spesso sfocianti nel puro delirio. Qua però non c’interessa il giudizio sulle sue qualità morali (o sui suoi eventuali disturbi psichici), quanto piuttosto il contributo musicale che ha dato alla scena black metal norvegese (e di conseguenza mondiale). E in tal senso i meriti di Varg sono indubbi. “Hvis Lyset Tar Oss” è il terzo album pubblicato a nome Burzum, e rimane il suo indiscusso capolavoro. Rispetto al black primitivo degli esordi, nei quattro pezzi che compongono l’LP i passi in avanti sono evidenti e colossali: restano le chitarre ultra distorte e zanzarose, resta il terrificante latrato della sua voce, ma i tempi si fanno più lenti e solenni, le tastiere vengono usate in modo del tutto innovativo, e l’atmosfera complessiva rende seriamente l’idea di aver a che fare con qualcosa di agghiacciante e innominabile. I 14 minuti di “Det Som En Gang Var”, perversamente ieratici, suscitano potenti immagini mentali e suggeriscono panorami di immane desolazione: le percussioni stentoree, il timbro del synth, lo struggente assolo di chitarra e le lievi modificazioni del lentissimo tempo di marcia su cui si basa il brano aiutano ad immergersi in un mondo irreale, allucinato. Burzum ha mostrato, forse per primo, le enormi potenzialità del black metal, anche al di fuori dei solchi tracciati da Mayhem e Darkthrone.
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