Il contenuto sonoro di “Into The Pandemonium” è bello quanto la copertina, particolare di un dipinto di Hieronymus Bosch. La mutazione dei Celtic Frost da potente band di thrash/proto black metal a qualcosa di totalmente alieno e, ai tempi, inaudito è a dir poco spiazzante. La cover di “Mexican Radio” dei Wall Of Voodoo lascia intendere che i tempi di “Morbid Tales” (1984) sono definitivamente tramontati. I brani più classicamente metal sono comunque pervasi di una nuova voglia di sperimentare atmosfere ancor più morbose e inquietanti rispetto al passato, con un approccio più ragionato e meno caotico: le torbide “Mesmerized” e “Caress Into Oblivion”, la più veloce “Inner Sanctum” e la possente “Babylon Fell” sono, tuttavia, ancora riconoscibili per i metallari d’allora. Lo scandalo è rappresentato dall’elettronica di “One In Their Pride”, la meraviglia dalle trame orchestrali e operistiche di “Rex Irae (Requiem)” e da “Tristesse de la lune”, cantata in francese da una suadente voce femminile accompagnata da un quartetto d’archi. Le intuizioni di “Into The Pandemonium” verranno saccheggiate da centinaia di band: senza questo LP non sarebbero mai nati il gothic e l’avant-garde metal, né avremmo avuto gruppi come Solefald o Arcturus.
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