Svizzeri al pari dei Celtic Frost, i Coroner sono stati uno dei gruppi metal più sottovalutati di sempre. Dopo tre dischi di ottimo thrash oscuro e inquietante rilasciati nel corso degli anni Ottanta, con “Mental Vortex” il trio elvetico giunge al proprio apice espressivo. Purtroppo all’epoca l’album non riscosse alcun successo, neppure all’interno del ristretto mondo hard & heavy, tanto che dopo un successore ancor più bizzarro e inclassificabile (“Grin” del 1993), la band fu costretta a sciogliersi (si è però riunita nel 2010). Un vero peccato, perché “Mental Vortex” rimane uno dei più grandi esempi di creatività costretta in note, in cui l’abilità di escogitare brani complessi e cangianti, ricchi di cambi di tempo e d’atmosfera, non va mai ad inficiare l’impatto emotivo degli stessi. Per rendersene conto basta ascoltare l’apripista “Divine Step (Conspectu Mortis)”, minisinfonia quadripartita in cui un break centrale astratto e lambente l’ambient psichedelico è incastonato in micidiali stacchi e progressioni ritmiche che turbinano inesauste fino alla conclusione del pezzo. Canovaccio che informa pure gli altri episodi dell’opera, sospesi fra momenti liquidi e atmosferici, fughe progressive e cadenze più tipicamente thrash metal. Il ‘peccato originale’ dei Coroner è probabilmente stato proprio questo, l’oscillare fra diversi mondi senza far parte, in realtà, di nessuno di essi: troppo sperimentali per gli appassionati di metal duro e puro, troppo ‘metallari’ per il pubblico d’avanguardia. Semplicemente unici.
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