Il caso discografico dell’anno. Un hype ciclopico, tutte le riviste e i siti di settore a parlare del ritorno del duo francese a distanza di otto anni (escludiamo la parentesi per la colonna sonora di “Tron: Legacy”) dall’ultimo album ufficiale, heavy rotation dappertutto, suoni disco/funk in piena botta anni Settanta, pop/soul vellutato, con contorno di synth e tastiere che spesso suggeriscono il decennio successivo. E poi il singolo, “Get Lucky“, davanti al quale si prostra mezzo mondo e che, in 4 minuti appena, riassume tutti i contenuti del disco. Appunto. Al di là di quel pezzo, “Random Access Memories” è più lustrini che sostanza. Per inciso, è un album fatto benissimo, dalla produzione sontuosa e dall’impressionante ricerca del più minuto dettaglio, arricchito da mille ospiti (Giorgio Moroder, Nile Rodgers, Julian Casablancas, Pharrell Williams la cui voce compare proprio su “Get Lucky”, persino Panda Bear), con un wall of sound quasi Spectoriano…ma questo è il contorno. La realtà è che, escluso il centro pieno del singolone di cui sopra, il quarto full – length dei Daft Punk mastica e sputa ingredienti risaputi e che, a ben vedere, poco hanno a che spartire con il classico sound dei transalpini. Anzi, a sprazzi pare di percepire una specie di Jamiroquai elevato all’ennesima potenza. E, cosa più importante di tutte, mancano i pezzi. Evidentemente, se ad oggi ha già venduto 3 milioni di copie e vanta un mostruoso 87/100 su Metacritic, qualche merito ce l’avrà pure. Per noi, però, rimane una mezza delusione e un manuale perfetto di come spacciare fumo camuffandolo da arrosto.
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