Lavoro di ultra nicchia e apprezzato solo da metallari incalliti, “Time Does Not Heal” dei Dark Angel è l’esasperazione del concetto di tecnicità, cambi di tempo e monoliticità delle partiture di chitarra nel genere thrash metal. La leggenda narra che il disco contenesse addirittura 246 riff diversi al suo interno: pensiamo che nessuno si sia mai messo a contarli, ma obiettivamente la struttura e la durata dei diversi pezzi possono effettivamente far pensare che un numero simile non sia poi così campato in aria. La perizia esecutiva lascia senza fiato, la sensazione claustrofobica ed opprimente delle canzoni rende difficile ascoltare in un’unica listening session tutta l’ora abbondante di musica contenuta nel platter. Difficile estrarre episodi singoli da un insieme così abbondante: sicuramente la title – track e “Psychosexuality” possono aiutare a comprendere sia la qualità del disco, sia la resistenza strenua del thrash metal nel tentativo estremo di rimanere a galla di fronte all’ondata invincibile di alternative rock e grunge che avrebbe annientato ogni opposizione di sorta in breve tempo. “Time Does Not Heal” non otterrà nemmeno la metà del successo che avrebbe meritato, salvo venire riscoperto ad anni di distanza e omaggiato a dovere quantomeno dagli appassionati.
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