Si tratta di uno dei dischi più influenti nella storia del black metal, e del più importante in assoluto nell’ambito del cosiddetto “true norwegian black metal”, per il quale rappresenta il canone stilistico definitivo. Se in “A Blaze In The Northern Sky” (1992) i Darkthrone avevano mantenuto alcune tracce di death e variato la formula inserendo numerosi rallentamenti dal sapore quasi doom, in “Transilvanian Hunger” il passato viene spazzato via. La registrazione, che pare sia stata realizzata utilizzando un quattro piste, è grezza, fredda, brutta, sporca e sgradevole, perfetta per enfatizzare il carattere ferocemente minimale degli 8 brani presenti nel cd. Non più di due, tre riff per canzone, blast beat incessanti, chitarre scorticate e urla ferine: a Fenriz e Nocturno Culto non è servito null’altro per scrivere uno degli album più genuinamente intrisi di odio di sempre. La furia sonora è spaventosa, realmente primitiva, e anche il contenuto emotivo è profondamente ancestrale: al di là delle sparate su satanismo e antisemitismo (“norsk arisk black metal” era scritto sul retrocopertina della prima stampa, in cui “arisk” sta per ariano in norvegese), in “Transilvanian Hunger” i Darkthrone mettono in luce ere lontane della storia dell’umanità, antecedenti al sorgere della civiltà e delle religioni così come le intendiamo oggi, in un certo senso tuttora inconoscibili razionalmente. Per questo motivo, episodi come la title – track, “Skald av Satans sol” e “Slottet i det fjerne” (forse la più bella canzone di black metal ‘puro’ mai scritta) sono così affascinanti.
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