Negli ultimi anni il panorama del metal estremo non ha saputo offrire molte novità. Non si sta parlando di qualità, topics for singles ministries quanto piuttosto d’innovazione; e in questo senso le varie band hanno preferito – forse molte di esse non avevano scelta – affidarsi ai vecchi stilemi nati negli anni Novanta, dal death tecnico al metalcore passando per le varie mutazioni del black. In quest’ultimo ambito pochissimi hanno saputo creare qualcosa di originale, e la band californiana dei Deafheaven rientra sicuramente in questa ristretta elite. Prendendo spunto dal black virato post rock dei Wolves In The Throne Room e dal folk/doom progressivo degli Agalloch, il trio di San Francisco ha innestato dating sim misty una fortissima componente shoegaze nelle sue lunghe composizioni, guadagnandosi da subito fama nell’underground con l’esordio “Roads To Judah” (2011). Un po’ come se Burzum si fosse messo a giocare con le distorsioni dei My Bloody Valentine, o viceversa. Sembrerebbe una porcheria, invece l’amalgama, seppur dal gusto incerto, risulta intrigante. “Sunbather” vede un ispessimento della componete melodica, ma non rinuncia allo scream black e alle chitarre zanzarose, finendo per convincere quasi tutti. Nel disco fa una comparsa Neige, musicista francese già leader dei ferocissimi Peste Noire e oggigiorno noto per il progetto Alcest, altro tentativo di coagulare indie pop anni Ottanta e metallo nero in un’unica soluzione. Nel caso dei Deafheaven, però, questa fusione si presenta ancor più sviluppata, facendo di “Sunbather” un piccolo gioiello.
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