Il primo album dei Deep Purple nella nuova formazione del Mark 3 (Roger Glover è stato sostituito al basso da Glenn Hughes, anche cantante, mentre alla voce principale David Coverdale è subentrato a Ian Gillan) è anche quello più significativo. Seminale, verrebbe da dire. Grazie soprattutto alla title – track, in cui la chitarra di Ritchie Blackmore e l’organo Hammond del compianto Jon Lord si sfidano in assoli di stampo fortemente neoclassico/barocco (l’ultimo di Lord ricorda persino Bach), che si stagliano perfettamente sul riff portante della canzone, durissimo e di ascendenza blues rock. Sulla carta una simile commistione non avrebbe dovuto funzionare, ma anche per merito della voce superlativa di Coverdale “Burn” è un capolavoro, che sarà preso a modello dal guitar hero svedese Yngwie Malmsteen negli anni Ottanta e da gran parte del power metal sinfonico dei Novanta. Oltre a ciò, il disco presenta altre novità rispetto agli illustri predecessori: l’hard rock è sempre possente, ma crescono le influenze funk e soul in brani quali “Sail Away” e “You Fool No One”, con l’impetuosa ballad hard blues “Mistreated” a rivaleggiare con la title – track per la palma di canzone più riuscita dell’LP. “Burn” ha saputo conquistarsi un clamoroso successo in Italia (nel nostro paese è stato il quarto album più venduto del 1974), ma spesso la critica ne ha sottovalutato l’importanza, privilegiando i titoli del Mark 2, “In Rock” e “Machine Head” soprattutto. A riascoltarlo oggi, pare invece che l’influenza di “Burn” sulla musica futura non sia certo di minore impatto rispetto a quella dei sopracitati.
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