Quando uscì, “Quelli che…” non riscosse un grande successo. Erano ormai lontani i tempi di “Vengo anch’io. No, tu no” (1968), la più grande affermazione di Jannacci a livello popolare. Eppure, copie vendute a parte, è questo il vero capolavoro del cantautore milanese. Non solo grazie alla title – track, perfetta fusione di ironia corrosiva e musicalità fluente (da lodare in particolar modo il sassofono di Giuseppe Sacchetti e l’organo Hammond suonato da Jannacci stesso), ma anche per merito di una manciata di pezzi baciati da uno straordinario afflato poetico, fra cui svettano la tenera e struggente malinconia per l’infanzia perduta di “El me indiriss”, cantata in dialetto milanese, e il faticoso ritratto metropolitano di “Vincenzina e la fabbrica”. Ma Enzo non perde mai la sua obliqua verve ironica, come dimostrano canzoni come “Il bonzo”, “L’arcobaleno” e “9 di sera”, quest’ultima ideale prosecuzione in note del monologo iniziale “La televisiun”. Perfetto anche l’equilibrio fra musica e testi (è presente Tullio De Piscopo alla batteria), per una delle opere fondamentali della storia del cantautorato italiano.
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