L’esordio della krautrock band Faust è ancora oggi un oggetto misterioso. Non è retorica: semplicemente non si sa da che parte prenderlo, né a livello puramente musicale né per quanto riguarda i suoi possibili significati estetico – filosofici. Opera tragica o colossale presa in giro? Ode all’informe caos sonoro oppure suo superamento tramite la ricerca acustica? Ognuno lo percepisce in modo diverso, e mai un disco è stato capace di atomizzare le posizioni della critica musicale in modo così clamoroso. Come “Tago Mago” dei Can, e persino più di questo, “Faust” vive in un mondo parallelo, impossibile da commisurare al resto della musica umana. Lontano dal paganesimo ancestrale degli Amon Duul II, defilato rispetto alla musica cosmica dei vari Tangerine Dream, Klaus Schulze e Popol Vuh, alternativo persino al dotto sperimentalismo degli stessi Can, in questo album il sestetto della Germania nord – occidentale stende una sinfonia in tre movimenti che assomma in sé sventagliate di sintetizzatori radioattivi, rumori orribili presi a prestito dalla musica concreta di Pierre Schaeffer, dialoghi in tedesco, chitarre che deragliano in jam di psichedelia brutalizzata dal rumore, citazioni di Beatles e Rolling Stones, solennità organistiche e nastri magnetici distorti, accordi di pianoforte ubriaco e canti ancora più ubriachi, batteria ‘motorik’, collage di musichette circensi alla Frank Zappa e persino oasi di chitarra acustica. I versi che concludono il disco, riflessioni sulla possibile irrealtà dell’esistenza che citano sia “La vita è sogno” di Calderon De La Barca sia il dubbio iperbolico di Cartesio, sono stati spesso letti come culmine tragico del capolavoro. Eppure, analizzando meglio il contesto, si nota che la famosa frase “And at the end realize that nobody knows/if it really happended” fa parte di una pseudo filastrocca in cui, fra le altre cose, Voltaire parla con la bocca piena d’aglio. Parrebbe allora che i Faust siano stati, piuttosto, un collettivo dotato di una sublime ironia in grado di oltrepassare il concetto del tragico con una gigantesca risata. E forse in questo sta uno dei loro più grossi meriti. Parlandone più terra terra, “Faust” segnerà indelebilmente l’industrial, il noise, la new wave, il post punk e qualsiasi sperimentazione futura orbitante attorno al mondo del rock.
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