Chi conosce il Battiato dei grandi successi, quello successivo a “L’era del cinghiale bianco” (1979), potrebbe subire un grave shock ascoltando questo disco. Dopo aver scandalizzato con l’immagine di un feto sulla copertina del debutto “Fetus” (1972), album già attraversato da un suono ibrido e scosso da fantasmi elettronici, il musicista siciliano rincara la dose con “Pollution“, lavoro in cui la mutazione del progressive coevo è spinta oltre ogni limite. Fra sintetizzatori VCS3 e VCS2 utilizzati in modo massiccio, chitarre e pianoforti filtrati e campionamenti di musica classica, Battiato fa il vuoto attorno a sé e crea inni elettro – rock in cui le parole vengono recitate al contrario (“Areknames”), jam futuribili per piano, batteria e coro (“Beta”), misteriosi cortocircuiti fra passato e futuro (“Plancton”, con melodia medievale di chitarra che fa da contrappunto ai synth subacquei), formule matematiche cantate su basi aliene e inquietanti (“Pollution”). Parliamo di un LP italiano che però è avanti almeno di 10 anni sulla sua data d’uscita, precursore della new wave, del synth rock e persino dell’industrial più astratto. Il primo lampo di genio di un genio dell’avanguardia pop.
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