Il sassofonista argentino Gato Barbieri inizia a farsi conoscere nel mondo del jazz verso la fine degli anni Sessanta, quando, prima a Roma e successivamente a New York, partecipa ai fermenti del movimento free. Suona con Enrico Rava, Don Cherry e nella Liberation Music Orchestra di Charlie Haden; ai tempi il suono del suo sassofono tenore viene paragonato spesso a quello di Pharoah Sanders. Nel corso degli anni Settanta diviene ancor più famoso grazie alla colonna sonora di “Ultimo tango a Parigi”, il film di Bernardo Bertolucci che scandalizzò le platee italiane, e ad una serie di dischi che, mitigando il jazz informale degli esordi, abbracciano suggestioni latine. Se in alcuni di questi titoli il graffio del sax free di Barbieri è ancora messo in primo piano (cfr. “Ninos”, brano presente nell’album “Bolivia” del 1973), in altri a prevalere nettamente è l’amalgama fra sonorità latinoamericane e strutture jazzistiche più vicine all’hard bop ed allo swing (soprattutto per quanto riguarda l’orchestrazione), in cui ‘El Gato’ è libero di sfogarsi nei suoi torrenziali e scintillanti assoli. Fra i quattro LP dedicati esplicitamente al Sud America giganteggia questo terzo capitolo, in cui il romanticismo di “Milonga Triste” e “Cuando Vuelva A Tu Lado” è accostato alle atmosfere festose di “Lluvia Azul” e “La Padrida” ed infine a quelle più tempestose e incandescenti di “El Sublime” e della title – track, in cui il sax tenore del musicista argentino è in grado di mostrare un’elasticità fuori dal comune, prima imbizzarrito in uno spasmo feroce e un momento dopo disteso e rilassato al massimo grado. “Chapter Three: Viva Emiliano Zapata” è probabilmente il miglior disco latin – jazz di sempre, perché riesce nell’impresa di non svilire il patrimonio musicale sudamericano in muzak per turisti, anzi lo esalta in un abbraccio di fuoco con il jazz più ‘caliente’ in circolazione.
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